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Roberti: “La prescrizione aumenta senso di impunità, criminali incoraggiati a delinquere”

Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano intervista il procuratore antimafia Franco Roberti, che difende il nuovo presidente dell’Anm Piercamillo Davigo, al centro delle polemiche per alcune dichiarazioni rese negli scorsi giorni. Secondo Roberti il problema più grosso è che circa “il 30-40% dei reati, specie i più difficili da scoprire, sono puniti con pene basse e hanno prescrizione breve”. Ciò comporta un “aumento del senso di impunità fra i criminali, che si sentono incoraggiati a delinquere per il calcolo costi-benefici”.
A cura di C. M.
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Franco Roberti

Sul Fatto Quotidiano Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, intervistato dal direttore della testata Marco Travaglio difende a spada tratta Piercamillo Davigo, il nuovo presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati che dal giorno del suo insediamento continua a far discutere per alcune dichiarazioni giudicate un po' troppo giustizialiste. Per Roberti, Davigo ha assolutamente ragione e le polemiche sono pretestuose. Il problema principale sta nella lentezza dei processi, nei meccanismi farraginosi contro cui si devono scontrare i magistrati italiani. "Servono delle leggi per far funzionare i processi, ma non arrivano", denuncia Roberti.

Già alla seconda domanda, Travaglio tocca la nota dolente, la prescrizione. L'attuale legge che regola il meccanismo della prescrizione sarebbe "assurda" secondo Roberti. Di assurdità ne contiene varie, come per esempio il fatto che "la prescrizione inizia a decorrere non quando il reato e il possibile autore vengono scoperti, ma quando il fatto viene commesso" e ciò provoca un'evidente contrazione dei tempi processuali, i tempi di prescrizione sono stati dimezzati con la legge Cirielli del 2005 e se già prima erano insufficienti, ora sono quasi inesistenti se rapportati alle tempistiche previste da un sistema che è formato da 3 gradi di giudizio pressoché automatici. Infatti, il punto più contestato dai magistrati alla Roberti e Davigo è che, essendo che "i termini continuano a decorrere fino alla Cassazione", per il pubblico ministero è quasi impossibile riuscire a portare a termine il processo e arrivare a sentenza.

Questo sistema, in pratica, porta alla prescrizione di circa il "30-40% dei reati, specie i più difficili da scoprire e puniti con pene basse e prescrizione breve: quelli contro la PA, finanziari, ambientali, urbanistici, le lesioni e gli omicidi colposi", sostiene Roberti. Gli effetti collaterali di questa catena di eventi sono soprattutto due, secondo il procuratore antimafia: "aumenta il senso di impunità fra i criminali, che si sentono incoraggiati a delinquere per il calcolo costi-benefici (fai molti soldi e non rischi nulla) e cresce la frustrazione degli onesti: è sempre raro che denuncino e testimonino".

"Renzi dice che le sentenze non arrivano mai", sostiene Travaglio. E Roberti risponde: "Le sentenze arrivano sempre: il guaio è che sono troppo spesso di prescrizione. E mica è colpa nostra. Basterebbero tre norme semplici". A quali norme si riferisce il procuratore? La prima è che "la prescrizione dovrebbe decorrere dalla scoperta del reato e si blocca alla richiesta di rinvio a giudizio, o al rinvio a giudizio, al massimo alla prima sentenza, poi non se ne parla più". La seconda, invece, è la modifica della legge che "di fatto annulla tutti gli atti dei processi dove cambia un giudice del collegio: un codicillo che salvi gli atti quando cambia il collegio eviterebbe di ripartire da capo, con scarcerazioni per decorrenza termini e prescrizione". Infine, la terza norma riguarda il meccanismo dell'Appello: "Nel processo accusatorio, col dibattimento nel contraddittorio delle parti, l’appello-fotocopia del primo grado è un assurdo doppione, un’altra fonte di prescrizione: niente più appello, salvo per il rito abbreviato". I ddl con queste proposte in Parlamento ci sono, ma a quanto pare non vengono inseriti nella "corsia preferenziale della riforma del processo", come la definisce Roberti.

"Dentro e fuori dal Parlamento e delle amministrazioni c’è troppa gente che non ha alcun interesse a una giustizia che funziona o che ha il preciso interesse a una giustizia che non funziona", è lapidario Roberti. Secondo lui le leggi non ci sono e non arrivano per questo preciso motivo. Come Davigo, anche Roberti pensa che il "repulisti" debba partire dall'interno dei partiti, che invece evitano di farlo invocando il diritto alla presunzione d'innocenza: "Si delega tutto alle sentenze definitive, come se certi fatti non fossero abbastanza gravi e chiari per fare pulizia subito". Poi prosegue: "La presunzione di innocenza è un fatto tecnico del processo che impedisce di considerare colpevole chi non ha condanne definitiva. Ma non impedisce di mandare a casa chi fa cose gravi, anche se non sono reati".

Capitolo "intercettazioni telefoniche" e relative trascrizioni: Roberti sostene che, con riguardo all'inchiesta di Potenza su Tempa Rossa, "tutto è stato fatto nel pieno rispetto della legge vigente" e che "non occorre alcune riforma delle intercettazioni". I gossip e le pruderie sarebbero state lecitamente trascritte, perché la legge dice che "in base al principio-cardine sancito dall’art. 268 Cpp negli atti vanno le intercettazioni ‘che non appaiano manifestamente irrilevanti'. Sarà poi il Gip, nell’udienza-filtro, in base allo stesso principio decide cosa stralciare e lasciare". Un meccanismo, secondo Roberti, che esiste per tutelare gli interessi sia dell'Accusa che della difesa.

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