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Pnrr, Bevilacqua (M5s) a Fanpage: “Pietoso siparietto della destra che fa scaricabarile sui ritardi”

Uno dei punti su cui Giorgia Meloni si gioca la credibilità in Europa – oltre a decine di miliardi di euro – è il Pnrr. Ma i ritardi si stanno accumulando e i fondi sono a rischio. Dolores Bevilacqua, senatrice M5s e vicepresidente della commissione Politiche Ue, ha commentato l’operato del governo a Fanpage.it.
A cura di Luca Pons
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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, o Pnrr, dovrebbe portare all'Italia 191,5 miliardi di euro nei prossimi anni. Ma i fondi sono legati al rispetto di scadenze precise e, al momento, l'Italia sembra essere decisamente indietro. Il governo Meloni negli ultimi giorni ha preso atto che alcuni interventi sono irrealizzabili e ha dato molte delle responsabilità al precedente governo, guidato da Mario Draghi.

Dolores Bevilacqua, senatrice del Movimento 5 stelle, è vicepresidente della commissione Politiche dell'Unione europea a Palazzo Madama, dove la commissione Bilancio sta analizzando il nuovo decreto Pnrr. Intervistata da Fanpage.it, ha analizzato la situazione ed evidenziato le mancanze del governo.

L'Italia rischia davvero di perdere i fondi del Pnrr?

Il rischio concreto di definanziamento di alcuni progetti c'è, siamo preoccupati. Il rischio più ampio è di perdere l'ultimo treno per un rilancio dell'Italia, dal punto di vista di infrastrutture, istruzione, transizione ecologica e digitale. Il rischio di perdere quest'occasione non può non richiamare in noi un senso di responsabilità.

Infatti, Giuseppe Conte ha parlato a Fanpage della disponibilità del M5s a collaborare con il centrodestra.

Siamo a disposizione della maggioranza, per lavorare in maniera fattiva e concreta al raggiungimento degli obiettivi. Per intervenire in maniera responsabile – sempre come opposizione – e non rischiare di perdere quei fondi che potrebbero fare la differenza per il futuro della nostra nazione.

Il governo Meloni ha ammesso che alcuni obiettivi sono irrealizzabili e ora vuole "rimodulare" il Pnrr. Entro fine aprile dovrà fare la sua proposta alla Commissione europea. Pensate che sarà un passaggio decisivo?

Mi sembra una maschera dietro cui si tenta di nascondere l'incapacità. Aggravata dal fatto che sono arrivati al governo di essere "pronti". Già nel suo discorso della fiducia, a ottobre, Giorgia Meloni ha fatto riferimento alla necessità di andare in Europa per rinegoziare il Pnrr.

Dove ha sbagliato, poi?

Da quel giorno non è stata fatta un'azione seria, per capire dove bisognava intervenire. L'esecutivo ha perso tempo con decreti inutili come quello sui rave party o la norma sul tetto al contante. Il fatto che adesso si cerchi la scusa della "rimodulazione" fa sorridere. E non c'è mai stata neanche un'analisi trasparente in Parlamento . L'abbiamo chiesta più volte al ministro Fitto, che per quanto disponibile negli incontri si segnava sugli appunti delle risposte che ancora attendiamo. La mancata trasparenza, secondo me, deriva dal fatto che non avevano le idee chiare.

La Commissione europea di recente si è presa un mese di tempo in più per valutare gli obiettivi che dovevano essere raggiunti entro il 2022. È un brutto segno?

In realtà il ritardo della decisione della Commissione non è legato solo alle criticità emerse sui progetti del 2022, ma anche al suo giudizio sulla nuova governance del Pnrr.

Quella inserita nel nuovo decreto Pnrr?

Sì, che con la volontà di accentrare le decisioni fa un po' tremare la Commissione. L'obiettivo del Pnrr è di aiutare i territori e le realtà locali, non certo di continuare a dare potere alla gestione centrale.

L'accentramento può aumentare i ritardi?

Sì, andiamo a ingolfare una macchina che già in questa versione stenta, immaginiamo cosa può succedere sovraccaricando le procedure, in termini di ritardi e inefficienze. E così vengono fuori anche battute come quella del sindaco di Milano Beppe Sala…

Che ha detto di "dare i soldi a chi li sa spendere", in sostanza, parlando della sua città.

Sì, mi auguro che fosse un'uscita infelice e subito rivista. Se l'Italia ha avuto una fetta così grande di Recovery Fund, grazie al presidente Conte, è anche a causa dell'arretratezza del Sud dal punto di vista dello sviluppo nei settori cruciali che richiedevano un intervento.

Il decreto Pnrr adesso è in commissione Bilancio al Senato, come procedono i lavori?

A rilento, perché ancora una volta la maggioranza si sta avvitando su se stessa. Uno dei temi è quello della responsabilità per il danno erariale: vorrebbero estendere le garanzie per i sindaci fino al 2025, ma anche su questo non riescono a mettersi d'accordo. Si procede tra fibrillazioni interne e incapacità oggettiva.

Molti esponenti del governo stanno dando la responsabilità dei ritardi al precedente governo Draghi. Hanno ragione?

È un siparietto pietoso. Un tentativo di giocare a scaricabarile, quando il governo Draghi è stato fortemente voluto anche da alcuni partiti dell'attuale maggioranza proprio perché pensavano che il Movimento 5 stelle non sarebbe stato in grado di gestire i fondi del Pnrr.

Anche quella dei ‘ritardi di Draghi' è una scusa, quindi?

Nell'ultima Nadef del suo governo, Draghi ha certificato che ci sarebbe stato un ritardo per circa 13 miliardi. Quindi le responsabilità del governo ‘dei migliori' sono assolutamente evidenti. Ma alcune delle figure che oggi sono fondamentali nella gestione del Pnrr erano già protagoniste nel governo Draghi. Come il ministro dell'Economia Giorgetti, della Lega, che allora era ministro allo Sviluppo economico. Da questo punto di vista c'è una grandissima continuità tra il governo Draghi e quello Meloni.

Anche il Movimento 5 stelle era parte di quel governo, però.

Sì, assolutamente. Peccato che non avessimo dei ministri nelle posizioni strategiche che potevano incidere sulla pianificazione del Pnrr. E in più, tra i motivi per cui è caduto il governo Draghi c'era anche la nostra posizione fortemente critica sulla gestione del Piano.

Lei a febbraio ha detto al ministro Fitto che le richieste di flessibilità dovrebbero riguardare anche le tempistiche interne, quelle decise dagli Stati. In che senso?

È una cosa grave. Alcuni progetti nel Sud Italia sono stati definanziati perché non si è arrivati in tempo all'assunzione di obbligazioni giuridicamente vincolanti, che sono l'anticamera per la messa a terra del progetto.

Quindi i progetti sono saltati?

Sì, ma si tratta di progetti che erano lì per lì per essere portati a compimento. Sono stati bloccati per il mancato rispetto di una scadenza interna. L'aveva imposta il governo italiano, non l'Europa. Rispetto alla tabella di marcia europea eravamo in linea, rispetto a una scadenza autoimposta c'è stata rigidità totale da parte del governo. Questo con una perdita notevole di tempo, perché un progetto quasi pronto è stato definanziato e i soldi sono stati spostati su qualcosa che doveva ancora essere ideato.

Il governo di recente ha approvato anche il nuovo Codice degli appalti. Potrà velocizzare i lavori per il Pnrr?

Apprezziamo la volontà di semplificazione e la digitalizzazione delle gare. Siamo però allarmati, perché il codice degli appalti rischia di aprire delle maglie preoccupanti anche per le infiltrazioni criminali e mafiose.  Al Sud, oggi, la mafia non è più quella della lupara e della coppola: sa benissimo infiltrarsi con colletti bianchi ad altissimi livelli. In più, per il Pnrr non porterà nessun beneficio.

Perché?

Ci sono pochi punti di contatto. Lo stesso Codice dice che per l' affidamento di progetti finanziati con il Recovery si applicheranno altre norme. Quelle del decreto Semplificazioni bis e del nuovo decreto Pnrr, quando sarà licenziato. Quindi il Codice degli appalti entrerà ben poco in gioco, se non per il fatto che il Codice stesso era uno degli obiettivi di riforma stabiliti nel Pnrr.

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