Rimpatri “volontari” dalla Libia: 7 organizzazioni accusano il governo di finanziare pratiche illegali
Sette organizzazioni hanno presentato ricorso al Tar contro il finanziamento concesso dal Ministero degli Esteri all'Organizzazione Internazionale per le Migrazione (Oim), destinato ai programmi di "rimpatrio volontario assistito" per centinaia di persone migranti che verrebbero così spostate dalla Libia al loro paese di origine.
L'udienza cautelare al Tar del Lazio è fissata per l'8 gennaio 2025. In quella data il tribunale esaminerà il ricorso presentato da Asgi, ActionAid, A Buon Diritto, Lucha y Siesta, Differenza Donna, Le Carbet e Spazi Circolari.
Cosa sono i rimpatri volontari
Vengono definiti rimpatri volontari, ma in realtà "Si tratta di espulsioni mascherate che violano il principio di non refoulement, gli obblighi di protezione dei minori e delle persone sopravvissute a tratta, tortura e violenza di genere", scrivono le sette organizzazioni, che il 18 novembre hanno presentato ricorso al Tar del Lazio.
Nel giugno 2024, il ministero degli Affari Esteri ha approvato un finanziamento di sette milioni di euro, provenienti dal Fondo Migrazioni, per sostenere il progetto “Supporto multi settoriale per migranti vulnerabili in Libia” dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Di questa cifra, stanziata dal ministero degli Esteri per una presunta giustificazione umanitaria, quasi un milione verrà destinato a quelli che vengono definiti rimpatri volontari umanitari: 820 migranti vulnerabili verranno così rimpatriati dalla Libia verso i Paesi di origine.
Le sette realtà organizzative, impegnate nella tutela dei diritti dei migranti e nel contrasto alla violenza di genere, sostengono che dietro a questa iniziativa, mascherata da motivazioni umanitarie, si celino in realtà espulsioni in forte violazione con i principi fondamentali, come il divieto di respingimento (non refoulement), gli obblighi di protezione per i minori e per chi ha subito trattamenti di tortura, tratta o violenza di genere: "Da anni una parte dei fondi italiani destinati alla cooperazione allo sviluppo viene impiegata per finanziare politiche di esternalizzazione delle frontiere finalizzate a impedire l’arrivo in Italia di persone migranti. Risorse che dovrebbero sostenere lo sviluppo dei Paesi e tutelare le popolazioni più vulnerabili sono invece utilizzate secondo una logica di deterrenza e contenimento dei flussi migratori", si legge.
Le violazioni dei diritti umani in Libia
Le violazioni dei diritti umani in Libia sono un tema di lunga data, che ha suscitato ampie denunce in merito a detenzioni arbitrarie, torture, maltrattamenti, violenze sessuali, sparizioni forzate ed estorsioni. Su questi crimini si sono scritti innumerevoli articoli e rapporti.
In Libia, non esiste un sistema di protezione adeguato. Manca una legge sull’asilo e la protezione dell’’UNHCR è limitata a poche nazionalità e non garantisce nessuna effettiva tutela. Per le persone bloccate in Libia l’unica opzione è aderire al programma di Ritorno Umanitario Volontario (Vhr) o lasciare il territorio illegalmente via mare.
Diversi organi delle Nazioni Unite, tra cui l’Alto Commissario per i Diritti umani (Ohchr) e il Relatore speciale per i diritti delle persone migranti, sottolineano che il rimpatrio può essere considerato volontario "solo ove sussistano determinate condizioni": una decisione pienamente informata, assunta in una situazione priva di coercizione e supportata dalla disponibilità di alternative valide sufficienti, come permessi temporanei per lavoro, studio o motivi umanitari, o opportunità per residenza permanente o cittadinanza.
Il rapporto "Nowhere out Back" dell'Alto Commissario per i Diritti umani
Nel 2022, proprio l’Ohchr aveva apertamente messo in dubbio, con il rapporto “Nowhere but Back” , la volontarietà dei rimpatri dalla Libia e ha invitato gli Stati Europei a non finanziare questi programmi in assenza di idonee garanzie sul rispetto del diritto di non respingimento: "Molti migranti in Libia, in particolare quelli nei centri di detenzione, non sono in grado di prendere una decisione veramente volontaria di rimpatrio in conformità con il diritto e gli standard internazionali sui diritti umani, incluso il principio del consenso libero, preventivo e informato”.
Il rapporto dell'Ohchr evidenziava infatti che molti migranti, specialmente quelli detenuti in Libia, non sono in grado di prendere una decisione davvero volontaria riguardo al rimpatrio. Coloro i quali accettano il “rimpatrio assistito” lo fanno quindi solo per fuggire dalle condizioni disumane delle carceri libiche, dove subiscono torture, maltrattamenti, violenze sessuali, estorsioni e altre gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, viene loro negato l’accesso a forme di protezione regolari, come il diritto d’asilo.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani identifica tre fattori principali che compromettono la volontarietà di questi rimpatri: la mancanza di opzioni di migrazione sicure e legali, l’assenza di un consenso libero e informato e il ritorno in situazioni di vita insostenibili nei Paesi di origine.
Anche se i rimpatri vengono presentati quindi come volontari, di fatto si trasformano in “espulsioni mascherate” di persone che avrebbero diritto a protezione internazionale. Per le donne, le persone non binarie e quelle perseguitate per motivi di genere, il rimpatrio spesso significa tornare a condizioni di violenza e discriminazione, dalle quali avevano cercato di fuggire. Le politiche europee di esternalizzazione delle frontiere impediscono loro di lasciare la Libia e trovare una protezione adeguata. In alcuni casi, molte persone hanno cercato di attraversare il Mediterraneo prima di accettare il rimpatrio, ma si trovano comunque a dover affrontare le stesse violenze nel loro Paese di origine.
Numerosi rapporti delle Nazioni Unite documentano poi le violazioni dei diritti umani in Libia. Nel luglio 2024, Volker Turk, l' Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha denunciato crimini come traffico di esseri umani, tortura, lavoro forzato, sparizioni forzate e violenze sessuali, perpetrati contro migranti e rifugiati.
Molti di questi crimini sono attribuiti alle autorità libiche e a gruppi armati, in particolare nella gestione dei centri di detenzione. La Missione di inchiesta indipendente delle Nazioni Unite ha confermato che i migranti sono vittime di crimini contro l’umanità, tra cui torture e schiavitù sessuale. Un'inchiesta che ha inoltre riscontrato una collusione tra le autorità libiche e i trafficanti. A queste violenze si aggiungono poi anche le gravi condizioni di detenzione, con testimonianze di donne e uomini violentati in carcere.
Secondo il rapporto, molte vittime di tratta sono costrette a subire violenze sessuali in cambio di cibo o altri beni necessari. Alcuni migranti, soprattutto donne e ragazze, vengono venduti per lo sfruttamento sessuale nei bordelli o nei campi di lavoro.
Tutto ciò è stato documentate anche da diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), che fa parte delle Nazioni Unite e che ha rivelato anche la scoperta di fosse comuni contenenti i corpi di migranti morti durante operazioni di contrabbando.
Il rapporto Ohchr conclude che i rimpatri dalla Libia sono spesso dannosi e non rispettano i diritti umani, poiché i migranti vengono rimandati nelle stesse situazioni di violenza e difficoltà che avevano cercato di lasciare. Il ritorno, anche se accompagnato da programmi di reintegrazione, non è sostenibile e non offre una protezione adeguata. I migranti affrontano così gravi difficoltà nel reintegrarsi nelle loro comunità di origine, e molti sono costretti a considerare una nuova migrazione, pur consapevoli dei pericoli che potrebbero incontrare.
Per questo motivo, l’Ohchr raccomanda di istituire meccanismi di monitoraggio per garantire che i finanziamenti per i rimpatri assistiti rispettino i diritti umani, assicurando che il consenso sia veramente libero, preventivo e informato.
Il comunicato
Rimpatri volontari o espulsioni mascherate? Contestata la legittimità dei programmi di rimpatrio volontario dalla Libia
Quasi un milione di euro per l’esecuzione dei rimpatri cosiddetti volontari. Dietro questa cifra, stanziata per una presunta giustificazione umanitaria, si nascondono espulsioni mascherate che violano il principio di non refoulement e gli obblighi di protezione dei minori e delle persone sopravvissute a tratta, tortura e violenza di genere. Il finanziamento oggetto del ricorso è parte di un totale di 7 milioni stanziati per il progetto Multi-Sectoral Support For Vulnerable Migrants in Libya.
Da anni una parte dei fondi italiani destinati alla cooperazione allo sviluppo viene impiegata per finanziare politiche di esternalizzazione delle frontiere finalizzate a impedire l’arrivo in Italia di persone migranti. Risorse che dovrebbero sostenere lo sviluppo dei Paesi e tutelare le popolazioni più vulnerabili sono invece utilizzate secondo una logica di deterrenza e contenimento dei flussi migratori. Il prossimo 8 gennaio il TAR del Lazio si esprimerà sulla richiesta di sospensione in via cautelare dell’utilizzo dei fondi destinati ai rimpatri. Le criticità di questi programmi sono state evidenziate dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i diritti delle persone migranti che ha sottolineato come un rimpatrio possa definirsi volontario solo se deriva da una scelta libera e informata, presa in presenza di alternative valide e senza alcuna forma di coercizione. Tuttavia, le condizioni in Libia rendono impossibile un consenso autenticamente libero e informato: numerosi rimpatri avvengono da luoghi di detenzione arbitraria dove le persone subiscono tortura, violenze sessuali e maltrattamenti. In tali condizioni, il rimpatrio è spesso l’unico modo per sottrarsi a questi abusi, nonostante spesso il ritorno nel paese di origine esponga le persone alle medesime condizioni dalle quali sono fuggite, quali violenza di genere, conflitti, discriminazioni sistemiche.
Nel 2022, l’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani (OHCHR), ha apertamente messo in dubbio la volontarietà dei rimpatri dalla Libia e ha invitato gli Stati Europei a non finanziare questi programmi in assenza di idonee garanzie sul rispetto del diritto di non respingimento. Nonostante questo, il MAECI ha rifinanziato tale misura contravvenendo alle raccomandazioni e tralasciando di valutare adeguatamente i rischi a cui l3 migranti sono espost3 in Libia e nei paesi di origine. Il MAECI non ha fornito informazioni riguardanti i centri di detenzione libici in cui sono stati realizzati i progetti né i documenti relativi a meccanismi di monitoraggio e garanzie sul rispetto dei diritti umani nell’attuazione dei programmi. I rimpatri volontari sono un tassello fondamentale delle politiche di esternalizzazione delle frontiere: a fronte del blocco delle partenze dalla Libia operato grazie al sostegno italiano alla cosiddetta Guardia Costiera libica, questi programmi aprono canali di mobilità forzata verso i paesi di origine, fornendo al contempo una legittimazione umanitaria alla cooperazione con la Libia.
Sotto l’etichetta di “rimpatrio volontario” si celano vere e proprie “espulsioni mascherate” attraverso le quali persone che avrebbero diritto a forme di protezione vengono rimandate in paesi per loro non sicuri. Per questi motivi, le sette organizzazioni ricorrenti chiedono che venga immediatamente bloccato l’uso dei fondi italiani sul rimpatrio operato dall’OIM e che venga dichiarato illegittimo il finanziamento.
ASGI, ActionAid, A Buon Diritto, Lucha y Siesta, Differenza Donna, Le Carbet e Spazi Circolari hanno presentato ricorso al TAR del Lazio contro il nuovo finanziamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) all’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) per i programmi di rimpatrio cosiddetto volontario assistito dalla Libia verso i Paesi di origine.