Riforme, il Governo accelera: ma rispunta l’immunità per i senatori
Dopo lo sbandamento seguito ai segnali di nervosismo filtrati da Nuovo Centro Destra e Forza Italia e dopo la confusione legata alla questione della minoranza interna del Partito Democratico (risolta con la mezza epurazione di Chiti e con l'allontanamento di Mineo dalla Commissione Affari Costituzionali), sembra incardinata su binari più solidi la riforma del Senato della Repubblica. Decisivo è stato probabilmente l'incontro tra il ministro Maria Elena Boschi ed il forzista Romani, seguito all'iniziativa di Silvio Berlusconi di lanciare la "provocazione" del presidenzialismo (peraltro le iniziative di Forza Italia sul tema restano confermate): a quanto pare, con qualche sostanziale modifica al patto del Nazareno, l'accordo sarebbe stato siglato sulla prospettiva di un Senato composto da 100 membri, non eletti direttamente, con una rappresentanza dei Sindaci e con la presenza dei governatori regionali.
È lo stesso ministro per le Riforme a confermare il "passo decisivo verso l'accordo", evitando però di soffermarsi sui tanti distinguo che ci sono e restano, non solo all'interno del Partito Democratico. Tanto più che sembra destinato ad aprirsi un nuovo fronte polemico intorno alla questione dell'immunità parlamentare di cui potrebbero / dovrebbero godere i "nuovi" senatori. La Boschi si affretta a precisare: "Il governo aveva fatto una scelta opposta, perché si sarebbe creata una distinzione tra i consiglieri regionali e i sindaci che sono senatori e tutti gli altri. Sul punto si può discutere, ma non è centrale". Ma le perplessità restano e, alla scontata contrarietà dell'opposizione grillina, va sommata la perplessità interna al Partito Democratico (si tratterebbe evidentemente di un provvedimento a fortissimo rischio impopolarità). Mentre Calderoli spiega: "Se non piace l’immunità, allora togliamola tanto ai senatori che ai deputati: tutti uguali ai comuni cittadini".