Riforma dei medici di famiglia, a che punto siamo e chi sono i favorevoli e contrari
![Immagine](https://staticfanpage.akamaized.net/wp-content/uploads/2024/05/medico-con-paziente-1200x675.jpg)
Non sono arrivate risposte decisive dal vertice del governo Meloni sulla riforma dei medici di famiglia, il testo che vorrebbe renderli dipendenti del Servizio sanitario nazionale. Erano presenti, oltre alla presidente del Consiglio, i due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il ministro della Salute Orazio Schillaci e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, oltre ad alcuni presidenti di Regione, uno per partito di maggioranza: il forzista Alberto Cirio (Piemonte), il meloniano Francesco Rocca (Lazio) e il leghista Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia), presidente della Conferenza delle Regioni.
Schillaci aveva già fatto sapere che "non c'è una posizione unitaria" per quanto riguarda la riforma in questione. E, stando a quanto emerso, il vertice non è riuscito a risolvere la soluzione. Il confronto è stato aggiornato, ma i tempi della riforma sembrano allungarsi. Ad opporsi sarebbero non solo diverse Regioni, ma anche Forza Italia, che non approva il passaggio dei medici da autonomi a dipendenti. Oltre a una serie di problemi economici e tecnici che devono ancora trovare una risposta.
Cosa cambia con la riforma dei medici di base per lavoratori e pazienti
In linea di massima, l'idea alla base della riforma è chiara: trasformare tutti i medici di famiglia, che oggi sono lavoratori autonomi convenzionati, in dipendenti pubblici del Ssn. Il passaggio, almeno nelle intenzioni del governo, riguarderebbe tutti i nuovi medici di base, mentre quelli già in attività potrebbero scegliere di restare convenzionati. La novità servirebbe per garantire personale alle nuove Case di comunità, gli spazi dedicati alla sanità territoriale che sono previsti dal Pnrr (ne dovrebbero aprire quasi 1.400 in tutto in Paese entro giugno 2026).
La riforma, insomma, punterebbe a garantire che la sanità sul territorio funzioni. Le nuove strutture, attive almeno dalle 8 alle 20, dovrebbero diventare per i cittadini un'alternativa valida ai Pronto soccorso, che quindi risulterebbero meno sovraccarichi.
Le Case di comunità però hanno bisogno di personale. Qui entrerebbero in gioco i medici di base. Che, diventando dipendenti, non passerebbero più la maggior parte del tempo nel proprio studio con una piccola quota di ore dedicata all'Asl (come avviene oggi) ma sarebbero di fatto sempre a disposizione delle necessità del territorio.
Per i pazienti, quindi, le visite non si svolgerebbero più negli studi – almeno nella maggior parte dei casi – ma appunto nelle Case della comunità. E la visita non sarebbe necessariamente con il proprio medico, se in quel momento non fosse disponibile.
Chi è contrario alla riforma
Ad opporsi alla riforma sono i principali sindacati di categoria e l'ordine dei medici, che a Fanpage.it hanno spiegato le loro motivazioni. Si va dai problemi tecnici da risolvere, alla questione di quanto costerà fare questo cambiamento. Fino al fatto che il cittadino perderebbe il rapporto privilegiato con il proprio medico di base, dato che si affiderebbe semplicemente a chi è in servizio in quel momento.
Per di più, non è chiaro come sarebbero gestite le pensioni. Oggi i medici di famiglia hanno una cassa previdenziale separata dall'Inps, chiamata Enpam, che gestisce circa 26 miliardi di euro. Cosa succederebbe con un eventuale passaggio all'Inps?
Anche nella maggioranza ci sarebbe scetticismo. Forza Italia non sarebbe contraria a una riforma, ma la proposta già depositata in Parlamento è ben diversa. Prevederebbe di mantenere i medici di base come lavoratori autonomi, convenzionati con il Ssn in parasubordinazione, inserendo un cambiamento di orario. Su 38 ore settimanali di lavoro, 20 sarebbero rivolte ai propri pazienti e 18 alla sanità territoriale, e quindi delle Case di comunità.
Chi è a favore della riforma
Tra i favorevoli sulla carta ci sarebbe il ministro della Salute Orazio Schillaci, che però a sua volta non sarebbe del tutto convinto dalla nuova impostazione. A spingere sarebbero soprattutto FdI e la Lega, e in particolare i loro presidenti di Regione. Il governatore del Lazio Francesco Rocca, insieme a diversi presidenti leghisti – Attilio Fontana in Lombardia, ma anche in modo meno esplicito Luca Zaia in Veneto – vorrebbe invece accelerare su una soluzione per la carenza di personale nelle Case di comunità.
Al momento, insomma, la maggioranza sembra divisa. Ci sarebbe una prima bozza di partenza, stilata da alcune Regioni. Ma non è ancora chiaro dove si potrà trovare il compromesso. I medici potrebbero avere solamente la scelta, e non l'obbligo di diventare dipendenti del Ssn? Per il momento la questione resta aperta, e non sembra che il governo troverà una quadra molto presto.