Riforma Corte Conti, la magistrata Briguori: “Scudo per politici che fanno danni, pagheranno i cittadini”

Il centrodestra sta lavorando a una riforma della Corte dei Conti che ha già superato il primo ostacolo: via libera della Camera e testo passato al Senato per l'approvazione definitiva. La riforma ha diversi contenuti tecnici, che però riguardano direttamente i cittadini: la Corte vigila sull'uso dei soldi pubblici (inclusi, ad esempio, quelli del Pnrr) e alcuni aspetti del testo sembrano proteggere i politici evitando condanne – o comunque sanzioni troppo pesanti – per chi fa un danno erariale. Fanpage.it ha intervistato Paola Briguori, presidente dell'Associazione magistrati della Corte dei conti ed ex vice Procuratrice generale della Corte, per spiegare le criticità della riforma.
Nella riforma della Corte dei Conti c'è anche una norma che è stata chiamata ‘salvapolitici'. Per i politici che finiscono a processo per un danno erariale si presume che ci sia la buona fede, fino a prova contraria. Ce lo può spiegare, concretamente?
È esclusa la colpa grave. Si prevede espressamente la presunzione di buona fede per i politici quando prendono decisioni nell'esercizio delle loro funzioni. Questo lascia assolutamente presumere che rispondano solo per dolo. E allora ci facciamo una domanda. Chi risponde? Risponderanno evidentemente i dirigenti, i funzionari che hanno apposto visto o firma a quell'atto con cui il politico ha espresso una sua volontà.
L'accertamento della partecipazione a titolo di colpa grave sembra essere precluso da questa norma. Quindi loro hanno una sorta di scudo, per buona fede, sulle condotte a titolo di colpa grave.
Quando si viene condannati scatterà un tetto massimo per la somma che si deve rimborsare, giusto?
Questo è il nodo più difficile di questa riforma. Il danno erariale – cioè il danno che viene prodotto alle casse dello Stato o di un ente pubblico – viene determinato già in origine al 30%. E poi è previsto un doppio tetto, perché il funzionario o l'amministratore pubblico non rispondono se non entro il limite delle due annualità di stipendio o di indennità.
Quindi possono rimborsare al massimo una somma pari a due anni del loro stipendio?
Sì. È chiaro che se quel 30% è pari a più annualità non viene rimborsato. Quindi in realtà questo danno rimane a carico della collettività, si socializza. Le casse dello Stato o dell'ente pubblico (pensi a un piccolo Comune che già ha difficoltà ad andare avanti) si troveranno comunque ad incamerare solo danni.
Però i bilanci pubblici servono anche per pagare i servizi per la collettività, dalla sanità alle scuole. Secondo noi, secondo chiunque legga una norma del genere, alla fine chi viene penalizzato è soprattutto il cittadino.
Un altro aspetto di questa determinazione del danno, che si legge e non si legge nelle maglie delle norme, è che anche il privato che produce danno erariale – il privato concessionario di un servizio pubblico che percepisce soldi pubblici, per esempio un finanziamento comunitario – risponderà sempre per quella piccola quota. Invece noi sappiamo che, quando si produce danno erariale gestendo per esempio dei fondi comunitari, con colpa grave, per nostra giurisprudenza si deve restituire l'intero. Perché chiaramente non si è portato avanti quel progetto che veniva finanziato da soldi comunitari, perché lo Stato li deve restituire all'Europa, tra l'altro.
E invece stranamente, c'è uno sconto del 70% anche per privati, per i quali non esiste il problema della paura della firma.
Un altro aspetto che fa discutere è il fatto che scatterà il silenzio-assenso, dopo trenta giorni, sui pareri tecnici che vengono richiesti dalle amministrazioni alla Corte dei Conti. C'è il rischio che le Corti siano sovraccariche e quindi, di fatto, passati i trenta giorni ci sia un via libera per tutti?
Non sappiamo ancora cosa porterà l'applicazione di questa norma. Posso dire che c'è la previsione di pareri su fattispecie concrete – perché poi questo ci viene chiesto, di esprimere pareri su fattispecie concrete, mentre il giudice contabile esprime pareri su fattispecie astratte, vale a dire sull'interpretazione di norme in materia di contabilità pubblica. Sta poi a chi ha chiesto il parere applicare quel parere alla fattispecie concreta. Invece noi siamo chiamati in realtà a quasi decidere, co-decidere, co-gestire con l'amministratore che ha chiesto il parere, creando una strana confusione anche su chi decide.
Lei mi dice che ci sarà un sovraccarico? Può darsi. Questo è un altro problema veramente difficile da risolvere. Il concetto di ‘silenzio' non può supplire un parere formale specifico, perché questo parere va a scudare chi agisce in forza di quel parere. E sembra quasi irragionevole pensare che si possa scusare una condotta che ha prodotto colpa grave sulla base solo di un silenzio, perché magari la Corte non è riuscita a concludere, o magari il legislatore ci impone questi termini molto, molto ridotti per esprimerci.
Lei ha l'impressione che questa riforma serva per indebolire la magistratura, o almeno indebolire i controlli sulla classe politica, soprattutto adesso che i lavori del Pnrr stanno accelerando e ci saranno sempre più finanziamenti pubblici da monitorare?
Il problema non è tanto indebolire o meno la magistratura, è un problema collegato alla perdita di quella funzione che la Corte dei conti svolgeva alla luce della Carta costituzionale. Alla Corte è stato assegnato il ruolo di essere il giudice garante del corretto impiego del denaro pubblico.
Se a un certo punto le funzioni di controllo vengono ridotte, o comunque modificate in modo tale che quelle funzioni stesse diventino lo scudo per il dipendente, esponendo la Corte a esprimere pareri oppure a registrare atti (perché c'è anche un altro tema, quello del controllo preventivo, che va a scudare una serie di condotte che derivano da quell'atto registrato e dagli atti connessi), credo che davanti a una situazione del genere, accanto poi alla previsione di una riduzione forte del risarcimento del danno, c'è una forte riduzione del controllo. In un momento in cui l'Italia è investita da ampi finanziamenti pubblici, magari proprio quelli derivanti dal Pnrr, dove l'Europa ci chiederebbe maggiori controlli dei flussi finanziari.
Un'ultima questione: la paura della firma che aveva citato. È la motivazione che il governo e la maggioranza hanno usato di più per giustificare questa riforma, cioè togliere ai politici la paura che se firmano un atto poi possano andare a rispondere legalmente di danni che in futuro derivano da questo atto, ma che loro non avevano potuto prevedere. È una motivazione legittima per questa riforma?
Inizialmente lo poteva essere. Però, per tutto quello che abbiamo letto, va al di là della paura della firma. Perché poi, per la paura della firma ci sono anche altri modi per muoversi. Per esempio, il legislatore potrebbe prevedere una riforma che semplifichi tutto il sistema delle norme che potrebbero produrre paura della firma, allorché il dipendente o l'amministratore non le conosca.
Si potrebbero adottare norme che migliorano i procedimenti decisionali, norme che introducano una seria formazione per il dipendente che va a firmare questi atti. Anche se io ritengo che molti dipendenti non abbiano paura, soprattutto quelli molto preparati (perché ve ne sono tanti) che hanno esperienze e preparazione. Giovani che escono addirittura con master, doppie lauree.
Tra l'altro poi, esiste una legge delega all'interno di questa riforma che credo che non abbia alcun contatto con la paura della firma, perché va a stravolgere la struttura della Corte, gerarchizza l'ufficio delle procure e quindi crea diversi problemi sia applicativi sul piano organizzativo sia sul piano dell'efficienza. Passeremo anni per dover riorganizzare la Corte alla luce di quella legge delega che si sta per approvare.