Ricercatori universitari, arriva legge che cambia concorsi e contratti. M5s: “Combatte precariato”
Ci sono voluti più di due anni, ma alla fine la commissione Cultura ha dato il via libera alla proposta di legge sul reclutamento dei ricercatori e del personale universitario. Alessandro Melicchio, deputato del Movimento 5 Stelle, è il relatore della proposta che il 14 giugno dovrebbe approdare in Aula a Montecitorio: “Il progetto ha visto un dibattito in commissione durato due anni, con tre maggioranze diverse e quattro ministri differenti: se è riuscito a vedere la luce in commissione e ha avuto un ampio sostegno da tutte le forze politiche è perché da relatore ho cercato di tenere il dialogo aperto con tutte le forze politiche”, afferma a Fanpage.it. Melicchio non ha dubbi: “Alla Camera verrà approvato sicuramente a metà giugno”. È lo stesso deputato del M5s a spiegare cosa prevede la proposta sui ricercatori universitari e perché punta ad arginare la cosiddetta ‘fuga dei cervelli’.
Quali sono i punti principali della proposta di legge?
I punti focali sono tanti, a partire da un intervento sulle borse di studio per l’attività di ricerca: oggi abbiamo un panorama deregolamentato sulle borse di studio, spesso utilizzate per coprire dei periodi di lavoro, invece con questo progetto si introducono le borse di ricerca con una durata massima di 36 mesi e sono riservate ai giovani laureati, senza dottorato di ricerca. Poi è previsto un intervento sul titolo di dottorato di ricerca, il terzo ciclo di istruzione universitaria: un articolo è dedicato alla valorizzazione del titolo del dottorato di ricerca; chi lo prende vedrà il suo titolo con un maggior valore sia nella Pa che nel privato, diventando una risorsa anche per il resto della società; un altro intervento è sugli assegni di ricerca, con la qualificazione dell’assegnista, oggi lo si può fare solo con la laurea e noi prevediamo un dottorato di ricerca per l’accesso, con una durata massima di 4 anni.
Come cambia la figura del ricercatore da un punto di vista pratico?
Cambiamo il concorso da ricercatore universitario, il cuore della proposta che supera la legge Gelmini. Ad oggi abbiamo il ricercatore di tipo A (3+2 e nessuno sbocco), che di solito si fa con anni di esperienza alle spalle, e quello di tipo B: noi superiamo queste due figure e ne creiamo una sola, quella di ricercatore universitario, con contratto a tempo determinato per un massimo di 7 anni ma sin dal terzo anno, dietro una valutazione di tipo nazionale, può diventare professore associato. Nessuno Stato riesce ad assumere nell’università tutti i dottori di ricerca: non dobbiamo promettere che assumiamo tutti, sarebbe demagogia, la cosa importante è che il ricercatore capisca entro una certa età se ha la possibilità di continuare il suo percorso nella ricerca o deve trovare qualcos’altro. Se arrivi a 45-50 anni come precario, quale azienda ti assume? Se partiamo da questo presupposto riusciamo a intavolare un vero e proprio progetto di carriera che valorizzi il ricercatore.
In che modo si cerca di incentivare la trasformazione degli assegni di ricerca in contratti da professore associato?
C’è una strutturazione della carriera, lo fai in maniera progressiva. Allo stato attuale non c’è alcuna regola, puoi fare il ricercatore di tipo A e poi tornare all’assegno di ricerca, quindi tornare indietro. Con questa proposta di legge si stabilisce una vera e propria progressione nella carriera del ricercatore. Si riduce la durata massima: oggi quella media prima dell’ingresso a ruolo è di 17 anni di precariato, l’età media di ingresso per il ricercatore di tipo B è 41,2 anni, mentre in Europa è poco più di 30. Andiamo ad armonizzare le figure contrattuali previste, stabiliamo questa progressione, mentre adesso c’è una selva di contratti.
In che modo questa pdl dovrebbe disincentivare la cosiddetta fuga dei cervelli?
Questo aspetto è sempre legato alla figura del ricercatore: un terzo dei posti da ricercatore messi a bando sul triennio da un'università sono riservati a ricercatori che abbiano svolto almeno 3 anni in un ateneo diverso da quello che bandisce il concorso. Se lasci quell’università hai oggi scarsissime possibilità di entrare in ruolo in quell’università: chi va all’estero è destinato a rimanerci. Con questa norma non vietiamo di andare all’estero, perché l’internazionalizzazione è un valore per la ricerca. Poi, una volta che il ricercatore va fuori trova condizioni migliori, magari trova posti occupati qui da chi è rimasto e quindi si disincentiva alla mobilità perché sai che rischi di non rientrare mai più. Così invece mettiamo tutti nelle condizioni di fare mobilità e di poter partecipare a quei concorsi a chi fa ricerca a livello internazionale. E dall’altro lato diamo una grande opportunità a chi già oggi sta già all’estero.
Come cambiano i meccanismi concorsuali?
Ci saranno regole certe su tutto il territorio nazionale. Tutte le commissioni devono essere sorteggiate da un elenco nazionale di professori che afferiscono a quel settore scientifico. Riduciamo la possibile malafede sulla composizione della commissione: la maggior parte sono esterni. E anche il commissario interno viene sorteggiato. Un altro intervento importante è quello sul portale unico dei concorsi universitari: si crea un portale sul quale confluiscono tutte le procedure concorsuali sia delle università che degli enti pubblici di ricerca. Si stabilisce per legge che se un’università non pubblicizza le sue procedure concorsuali la procedura è nulla, viene invalidata. Ad oggi per ridurre il numero dei concorrenti ti basta limitare il numero di informazioni. Non tutti i concorsi sono truccati all’università, ovviamente, ma se ci fosse anche un solo concorso pilotato sarebbe di troppo, un fenomeno che danneggia non solo i candidati ma prima di tutto il sistema universitario che ne perde di immagine.
Perché questa pdl viene considerata come un’arma contro il baronato universitario? Può essere davvero sufficiente per contrastarlo?
Io ritengo che abbiamo dato una bella risposta. In tanti chiedevano un intervento ancor più rigido, ma se lo fosse stato avremmo rischiato di cadere nuovamente nella tentazione di fare una riforma punitiva del sistema universitario. Secondo me per ridurre il fenomeno dei concorsi pilotati bisogna stimolare prima di tutto alla partecipazione ai concorsi, oggi se il ricercatore non sa che quel posto è destinato a lui non partecipa nemmeno. Invece per dare sul serio una spallata a questo fenomeno bisogna mettere in difficoltà le commissioni, con tanti candidati con un profilo elevato e metterle in difficoltà nel senso di non rendergli vita facile nell’indicare il candidato prescelto. Con questi interventi penso che questa venga attuato. Poi con una commissione nazionale, con commissari sorteggiati, c’è sempre la possibilità di infiltrazione nello scegliere il candidato prescelto, ma il rischio è molto più basso di quello di oggi, si inverte la tendenza.