Come si fa a gestire il doppio incarico di segretario Pd e di Sindaco di Firenze? A questa domanda Matteo Renzi ha sempre risposto con fastidio, replicando proprio oggi con una mezza battuta. "Così, entrando", ha infatti commentato prima di mettere piede in una delle scuole fiorentine che visita ogni martedì mattina da quando è Sindaco. Poche ore prima, a chi gli chiedeva della possibilità di rassegnare le dimissioni dalla carica di Sindaco aveva risposto con un laconico "non è un tema all'ordine del giorno". E più volte durante la campagna elettorale per le primarie aveva sottolineato come quello del cumulo delle cariche "non sarebbe mai stato un problema". Per la verità poi, durante le due campagne delle primarie, il Sindaco di Firenze si è prodigato in un vero tour de force, con viaggi notturni per partecipare a riunioni, chiudere delibere e via discorrendo. Ma non c'è dubbio che permangano scetticismo e perplessità sulla possibilità di gestire due macchine così complesse come quella del Comune di una delle più importanti città italiane (checché ne dica Marchionne) e del più grande, strutturato e complesso partito del Paese (checché ne dica Grillo).
Poche ore fa, uno che aveva pur provato la tentazione del salto in politica dalla porta principale (con la controversa esperienza del Movimento arancione), Luigi de Magistris ha fatto a suo modo gli auguri a Renzi, spiegando sulla questione del doppio incarico: "Lo considero umanamente impossibile prima che politicamente, a meno che lui non sia un Superman". Il problema in effetti non è relativo alle capacità personali di Renzi, che tra le altre cose ha cominciato subito con il convocare una segreteria di partito alle 7,30 del mattino. È una questione concettuale, più che politica in senso stretto. E che chiama in causa due concetti molto cari a Matteo Renzi, due architravi della sua poetica, le basi della sua piattaforma culturale: onore e lealtà.
Renzi, quello che "poneva il suo onore per meritare fiducia", ha ripetuto più volte come nella sua visione della politica e della vita la lealtà avesse un significato profondo, quasi sacro. La lealtà verso i compagni di partito, ribadita nello splendido discorso della sconfitta al ballottaggio contro Bersani. La lealtà verso il Presidente del Consiglio in carica, oltre le strategie e le convenienze personali. Una lealtà che non significa affatto cieca ubbidienza, anzi. È la lealtà del lavoro comune, del "parlare il linguaggio della verità", dell'onore inteso come coerenza e dignità, del rispetto verso il prossimo. Quella stessa lealtà nei confronti dei cittadini fiorentini e degli iscritti ed elettori del Partito Democratico che dovrebbe convincere Renzi ad operare una scelta. Una scelta chiara e netta, appunto.
Un incarico come quello che Renzi ha scelto richiede la totale e completa dedizione. Il Sindaco di Firenze deve ridare dignità al principale partito del centrosinistra italiano, ad una delle più grandi formazioni progressiste europee. Deve restituire l'orgoglio e il senso di comunità a centinaia di migliaia di militanti umiliati dalle larghe intese, depressi da decenni di finta contrapposizione ideale, disorientati da scelte strategiche di apprendisti stregoni della politica. Deve ridare speranza e fiducia ad un intero Paese, cambiando (o almeno provando a farlo) il paradigma della comunicazione politica e convincendo gli italiani che un'altra politica esiste, è possibile, è il futuro. Deve cambiare verso alle cose.
Un compito enorme, forse immane. Che non può essere svolto a mezzo servizio. E Renzi in fondo lo sa: deve essere leale fino in fondo con le centinaia di migliaia di italiani cui ha chiesto fiducia. E leale con i suoi concittadini, che non lo hanno votato perché si concentrasse sul Pd e che hanno bisogno di un Sindaco che pensi "solo" a Firenze. E che non vedrebbero come un'offesa un passo indietro del Sindaco, ne siamo certi.