Finalmente Renzi lascia il Pd. No, non lo diciamo da pasadran renziani, pronti a seguire il Rottamatore ovunque vada. E nemmeno da dalemiani pronti a rientrare nel Partito dopo l’uscita del “grande intruso”, come Renzi stesso si è definito nella lunga intervista su Repubblica di stamattina. Finalmente Renzi se ne va perché pone fine a un gigantesco equivoco chiamato Partito Democratico, contenitore a vocazione maggioritaria e bipolare in un universo politico proporzionale e multipolare, sintesi tra pensieri politici inconciliabili tra loro, fusione fredda tra nomenclature post comuniste e post democristiane che ha reso i Dem il Partito del Potere per antonomasia.
Finalmente Renzi lascia il Pd e il Pd, nei fatti, torna a essere il Pds che fu, un partito guidato dagli eredi del Partito Comunista Italiano che cerca di emanciparsi – e magari ci riesce pure – come forza socialdemocratica moderna, strizzando l’occhio ai laburisti britannici di Jeremy Corbyn e ai socialisti spagnoli di Pedro Sanchez. Mentre Renzi torna a fare quel che avrebbe voluto fare da anni e guidare quel che resta della Margherita verso quella Terra di Mezzo rimasta orfana del Cavalier Berlusconi, incrociando lungo la strada quel che rimane di +Europa, Carlo Calenda, Mara Carfagna e i forzisti che resistono a Salvini, magari pure quell’Urbano Cairo che, dicono, avrebbe tanta voglia di scendere in campo pure lui.
Finalmente Renzi lascia il Pd e l’Italia conclude la sua ventennale parentesi pseudo-maggioritaria per quietarsi nelle lande serene di una nuova legge elettorale proporzionale e del parlamentarismo spinto, abbandonando la retorica del chi vince governa, e del chi governa legifera (a colpi di decreti) che di fatto ha svuotato la nostra politica di ogni inclinazione alla mediazione e alla convergenza di interessi contrapposti, costruendo una retorica volta costantemente al dileggio dell’avversario e alla sua demonizzazione, si chiamasse esso Berlusconi o D’Alema, Di Maio o Bersani, Renzi o Salvini.
Finalmente Renzi lascia il Pd rinunciando a fare da argine all’alleanza dei dem coi Cinque Stelle, comunque nell’ordine delle cose, con lui o senza di lui, dedicando le sue energie a rompere il blocco di centrodestra tra Lega e Forza Italia, vero viatico per una nuova stagione politica fondata su quattro grandi blocchi – quello sovranista-nazionalista, quello liberal-democristiano, quello di sinistra-statalista e quello populista-pentastellato – destinati a rappresentare finalmente l’elettorato per quel che è, senza contraddizioni, equivoci o alleanze di comodo.
Finalmente Renzi lascia il Pd, perché così doveva andare, da almeno cinque anni. E se fosse successo allora, forse ci saremmo risparmiati un bel po’ di disastri.