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Opinioni

Renzi, la questione meridionale e il mistero del Masterplan per il Sud

Si può e si deve leggere in maniera diversa la nuova questione meridionale, siamo tutti d’accordo col Presidente del Consiglio. Magari nell’attesa che qualcuno risponda alla domanda: “che fine ha fatto il masterplan per il Sud?”. Di cui, dopo mesi di ritardi, abbiamo solo le linee guida.
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“Affrontare il problema del Sud semplicemente con notizie a effetto significherebbe tradire un problema che è molto più complesso”. Così parlava Matteo Renzi qualche mese fa, poco prima di annunciare l’avvio di una riflessione che, in breve tempo, avrebbe dovuto portare all’elaborazione del masterplan per il Sud. Un piano di ampio respiro con il quale il Governo, spazzando via la retorica autoassolutoria del Sud abbandonato, avrebbe fornito alla classe dirigente del Mezzogiorno gli strumenti finanziari, legislativi e organizzativi per affrontare compiutamente la nuova questione meridionale.

Le tempistiche sono state completamente disattese e non è più una novità: il masterplan doveva essere presentato entro la fine di agosto, il 4 novembre il Governo ha varato le linee guida, assicurando che per la fine di dicembre avremmo avuto i piani specifici per ogni singola Regione e per qualche provincia, alla fine di marzo non c’è ancora nulla di ufficiale.

Il rispetto degli impegni e delle tempistiche non è cosa di poco conto, perché agli annunci devono, necessariamente devono, seguire i fatti, i risultati concreti. Invece la discussione è stata completamente anestetizzata dai buoni propositi, dai progetti "simbolo" e dai "risultati – spot". Solo ieri, nel suo #matteorisponde, il Presidente del Consiglio tornava a parlare di Bagnoli (oggi è a Napoli, anche per la cabina di regia) e Pompei, quasi come se uno o due obiettivi possano sussumere la complessità delle questioni e dei problemi irrisolti. Scelta comunicativa legittima, ma decisamente discutibile.

La favola del Mezzogiorno che rinasce intorno a progetti simbolo, per quanto affascinante (e magari anche a lieto fine), è poca cosa rispetto alla portata della sfida che si pone di fronte al Governo e alle istituzioni. Ricucire un tessuto sociale lacerato da sfiducia e condizioni materiali, cambiare l'intero paradigma delle politiche di sviluppo, modificare la struttura produttiva, innescare meccanismi "autonomi" di sviluppo, combattere i mali atavici della classe dirigente meridionale (e responsabilizzarla, magari). Insomma, uno sforzo complessivo e complesso, che non può essere declinato con la solita, controproducente, logica emergenziale.

E i ritardi sul masterplan sono un peccato, proprio perché la scelta di fondo era invece molto interessante: superare le vecchie politiche di sviluppo in nome di un approccio globale e “centralizzato”, con una cabina di regia investita di responsabilità e poteri, razionalizzare le spese e mettere in campo un serio programma di accountability. Le risorse, invece, sono sostanzialmente quelle già “previste”: “tra fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-20 pari a 56,2 miliardi di euro, di cui 32,2 miliardi di euro europei e 24 miliardi nazionali, cui si aggiungono fondi di cofinanziamento regionale per 4,3 miliardi di euro, e Fondo Sviluppo e Coesione, per il quale sono già oggi disponibili 39 miliardi di euro sulla programmazione 2014-20, stiamo parlando di circa 95 miliardi di euro a disposizione da qui al 2023 per politiche di sviluppo”, con un ulteriore spazio di manovra, garantito dall’attivazione della clausola sugli investimenti, che potrebbe valere circa 5 miliardi di euro. Del resto, la ratio è chiara, per citare Renzi: “Non servono nuove vagonate di progetti, basta fare le cose che sono lasciate a metà da troppo tempo”.

Il problema è che un approccio del genere deve necessariamente tener conto di come si è evoluta la questione meridionale, o meglio, di cosa “differenzia” ancora il Mezzogiorno dal resto del Paese “oltre” (o come diretta conseguenza de) gli indicatori tradizionali, essenzialmente limitati agli aspetti di lavoro, produzione e consumo.

Ecco perché ci sono altri indicatori, altre priorità, altre evidenze da considerare se si vuole avere un approccio moderno ed efficace alla nuova questione meridionale. Che passa, oggi più di prima, anche per la grande questione reddituale e dell'esclusione sociale.

E grafici del genere sono un pugno nello stomaco.

 
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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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