L'intervista di Barbara D'Urso a Matteo Renzi ha fatto (giustamente) molto discutere. Decine di editoriali, centinaia di tweet, qualche analisi di senso e qualche considerazione condivisa. Del resto è evidente come Renzi si muova con una enorme disinvoltura anche in ambienti storicamente poco congeniali ai leader dei partiti di sinistra (perché lo è, o almeno dovrebbe esserlo) e come abbia una visione utilitaristica del mezzo televisivo e nessun timore di rendersi ridicolo (si legga alla voce selfie-carmelitasmack). Ha una sola ansia: il consenso. E va nei luoghi dove sa di avere margine di manovra, parlando a quella gente che costituirà il suo personalissimo bacino elettorale del futuro: impiegati, casalinghe, anziani, oltre che quella composita nebulosa che una volta si chiamava "piccola e media borghesia". È una macchina da consenso e per lui non vale nemmeno il detto "il fine giustifica i mezzi". Perché non c'è nulla da giustificare, appunto. È l'esaltazione della ricerca del consenso come valore in sé.
Il Presidente del Consiglio, poi, ha capito che quelle sulla "tv che non sposta un voto", sul declino della "capacità di persuasione del mezzo televisivo" e sull'inutilità del presenzialismo sui media sono nient'altro che chiacchiere. E soprattutto, come ampiamente dimostrato dal voto delle elezioni europee, ha capito prima di altri che ci sono interi "blocchi" di elettorato in via di ricollocamento: conservatori nell'anima, di età medio – alta, restii alla mobilitazione e alla "ideologizzazione", affascinati dal senso pratico e dalla narrazione della semplicità. A questo composito ed eterogeneo popolo (di elettori, fedelissimi tra l'altro alla frequentazione delle cabine elettorali) Renzi propone la "mistica del cambiamento e del rinnovamento", ma in un ambiente ovattato, familiare, rassicurante. È il bravo ragazzo che è diventato grande; il cocco della nonna e della maestra; ma anche il capitano della squadra di calcio che consola i suoi dopo la sconfitta (magari prendendosela con l'arbitro). In prima persona, Renzi sfrutta i canali tradizionali ma in qualche modo li svuota, proprio in nome di quella disintermediazione su cui tanto insistono i suoi fedelissimi (sul valore della partecipazione a DomenicaCinque si legga il pezzo di Iacoboni su La Stampa).
Che sia dalla De Filippi o dalla D'Urso, col giubbotto di pelle o col gelato in mano, Renzi è sempre orientato al convincimento, in perenne campagna elettorale (personale) e non ha alcuna paura di rendersi ridicolo all'occhio della "critica". Del resto, ridicolo per chi? E secondo quali ragionamenti o pregiudizi? (Che poi, male che vada, c'è sempre la retorica passatista da sfruttare…)
Il problema è semmai che la discussione si sia concentrata sulla partecipazione in sé alla trasmissione pomeridiana di Canale 5 e non sul contenuto del colloquio fra il Presidente del Consiglio e la giornalista campana. Magari qualcuno avrebbe potuto pure obiettare che quello sul bonus alle neo-mamme è l'ennesimo annuncio (ma non c'era stata la presentazione della legge di stabilità solo qualche giorno prima?), che sullo ius soli siamo ancora alla fase delle chiacchiere e che al momento per ottenere la cittadinanza italiana servono soldi e fino a 730 giorni fra attese, carte, bolli e reclami (per inciso, c'entrerà relativamente poco, ma il Governo Renzi è quello che ha portato a 300 euro la tassa per i discendenti di italiani che vivono all’estero e vogliono recuperare la cittadinanza…), che mettere in coda il tema dei diritti civili non ha alcun senso logico, ma solo convenienza politica. Ma, in effetti, meglio ridere sul carmelitasmack, no?