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Opinioni

Renzi ha scelto di scaricare Marino (e ora si giocherà tutto in primavera)

Dopo il caso Marino, il PD deve fare i conti con situazioni complesse nelle 3 principali città italiane. Che Renzi e i renziani reclamano, ma senza avere la forza né il consenso per prendersele.
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Le dimissioni forzate di Ignazio Marino sono l’ultimo tassello del mosaico delle amministrative 2016, quando si voterà nelle maggiori città italiane: Napoli, Milano, Bologna, Cagliari, Palermo, Trieste, Torino, Ravenna, Salerno e, dunque, Roma. A questo punto, si tratterà di un test fondamentale per il Governo e per il nuovo corso del Partito Democratico, e questa volta Renzi sa di non poter ripetere gli errori delle Regionali 2015. O meglio, sa di non potersi lasciar sfuggire di mano la situazione, per poi trovarsi costretto a digerire candidature “di altra natura”. Non sarà semplice, per questioni oggettivi e per i limiti stessi del suo progetto politico.

Il punto è: il gruppo dirigente renziano, oltre alla volontà, ha la forza, la legittimità, la capacità e il consenso per imporre i propri candidati?

Trovare qualcuno che risponda a domande simili è arduo ora e lo sarà man mano che si avvicinerà l’appuntamento elettorale: il massimo che si potrà ricavare, interrogando i renziani, sarà un “servono soluzioni condivise” o “non abbiamo paura delle primarie, ma non sono sempre la soluzione migliore”. Ma nessuno vuole arrivare impreparato all’appuntamento elettorale della prossima primavera, che si configura come un test chiaro, senza scusanti: Renzi sarà alla guida del Partito Democratico da quasi 3 anni, al Governo da oltre 2, nel pieno della legislatura e del processo di riforme. Non può perdere, insomma. O meglio, deve vincere, con i suoi uomini. Ma…

Il caso Roma e il problema Marino

Tutto sommato qualcuno potrebbe finanche pensare che l’operazione Roma sia stata efficace, politicamente parlando: i renziani sono riusciti ad “incastrare” Marino su questioni banali (dopo una gigantesca campagna di stampa), evitando di affrontare i nodi politici e le mille contraddizioni del partito romano, ma soprattutto calando una gigantesca cortina fumogena su Mafia Capitale e dintorni. Il PD, che peraltro andava “bonificato” sotto la guida di Matteo Orfini (con calma, eh), ha sostanzialmente cacciato Marino a poche settimane dal Giubileo, recuperando uno spazio di manovra che con il chirurgo al Campidoglio non avrebbe avuto. Eliminando, insomma, quella che era considerata una anomalia e liberando una poltrona pesante, sulla quale il Presidente del Consiglio aveva da tempo concentrato le sue attenzioni. Il ragionamento del resto è semplice: se al Campidoglio c'è un esponente del PD allora deve essere in qualche modo legato al segretario; se il PD amministra male la Capitale del Paese a rimetterci è anche il Presidente del Consiglio / segretario del PD; in sintesi, un Sindaco del PD non può governare senza (o contro) il PD locale, senza (o contro) il PD nazionale, senza (o contro) il Governo nazionale. Questo già a prescindere dai giudizi di merito: figurarsi quando si pensa che la città sia amministrata male, o che il Sindaco non sia degno di fiducia.

La strategia adottata dai renziani presenta però una serie di incognite, come si è visto anche in queste ore. In primo luogo l'ostinazione di Marino è un fattore da non sottovalutare: il chirurgo torinese ha vinto prima le primarie, poi le elezioni, ha comunque un suo bacino di consenso e non è detto che tutti gli elettori romani lo abbiano scaricato. Cosa accadrebbe se dovesse candidarsi da solo? Semplice, che si comprometterebbe definitivamente una partita che si annuncia già complicatissima. Perché affondare Marino significa anche ammettere il fallimento di una stagione a guida PD; perché non sembra esserci un candidato così forte da far dimenticare il caos di questi mesi (Gabrielli? Orfini?); perché il centrodestra potrebbe trovare un candidato forte e unitario (la Meloni? lo stesso Marchini?); perché il M5S difficilmente si schioderà dal 20/25% e con una frammentazione del consenso non è escluso arrivi al ballottaggio; perché se qualcosa andasse storto durante il Giubileo…

Milano e il fantasma di Pisapia

"Tu decidi, noi ti aspettiamo", ha detto Renzi a Pisapia durante l'ultimo incontro pubblico. E non è un mistero che durante l'estate il Presidente del Consiglio abbia fatto pressioni sul Sindaco di Milano affinché optasse per un secondo mandato, cambiando idea rispetto alla decisione annunciata a marzo. Non che il giudizio del PD sia entusiasta in senso assoluto, ma Pisapia rappresenta una delle opzioni più concrete per provare a "tenere Milano". Confermarsi a Palazzo Marino è un imperativo, soprattutto per il modo in cui Renzi ha legato la sua esperienza di Governo all'EXPO e per il valore della città nella narrazione renziana. Ma Milano è la città di Salvini (e ancora di Berlusconi), oltre che quella in cui il "voto utile" fa meno presa, storicamente. Presentarsi alle urne senza un candidato fortissimo e riconoscibile, o peggio con un burocrate alla Sala, rischia di essere un suicidio. Il punto è: c'è un "prodotto" della classe dirigente renziana con queste caratteristiche?

Napoli e l'incubo Bassolino

A Napoli la situazione è, se possibile, ancora più complicata. E non solo perché i renziani hanno già dovuto ingerire il boccone amarissimo delle primarie alla Regione Campania, primo passo dell'approdo di De Luca a Palazzo Santa Lucia, e dunque non possono più permettersi di sbagliare. Ma anche perché le condizioni "climatiche" sono oggettivamente più difficili. C'è un Sindaco in carica che si ricandiderà, con la sua coalizione atipica, basata interamente sul suo credito personale e sui risultati della sua amministrazione (e il riscontro è, appunto, un'incognita); c'è una componente grillina molto forte, che difficilmente raccoglierà meno del 20%; c'è un centrodestra che non si è sfaldato e che può contare su un candidato in pectore noto (Lettieri) e su una alternativa di lusso (Caldoro); c'è un partito locale diviso, eterogeneo e lacerato da anni di correntismo; c'è il ricordo del disastro delle primarie 2013; c'è "l'incubo" Bassolino. Don Antonio per ora gioca, scherza, allude, si diverte a provocare, ma la possibilità di una sua discesa in campo è tutt'altro che remota. In tal caso cosa faranno i renziani di Napoli? Cercheranno un candidato da contrapporgli, ma pronti ad accettare l'esito delle primarie? Giocheranno la "solita" carta della candidatura unitaria? E poi, se andasse male?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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