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Opinioni

Renzi ha ragione: al Sud non servono slogan e spot. Ma un’anima

L’idea di lavorare ad un piano per il Sud di Matteo Renzi, evitando soluzioni una tantum, è operazione interessante, complessa, complicata. Ma destinata a fallire se resta solo mera propaganda fatta di annunci e misure spot, e non si riempie di contenuti e sostanza. Quindi, davvero basta con gli slogan e gli spottoni vuoti: è il tempo della buona politica.
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Sappiamo di avere una questione Mezzogiorno ancora aperta. Al Sud la ripresa non è ancora arrivata e non sarà qualche decimale di punto a farci cambiare idea. Ho molta fiducia nella capacità di alcuni progetti simbolo di trainare la ripresa”. Cinque mesi fa, così scriveva il Presidente del Consiglio in un passaggio della sua tradizionale e-news, spiegando di aver fiducia in 4 progetti – cardine sui quali non avrebbe esitato a mettere la faccia: Bagnoli, Pompei, Gioia Tauro e Taranto.

Era un primo, abbozzato, tentativo di replicare a quanti sostenevano che la questione meridionale non solo non fosse una priorità, ma non fosse nemmeno nell’agenda del Governo Renzi. Che invece si sbilanciava, scendeva in campo e prometteva di risolvere questioni spinose, complicatissime, forse nemmeno risolvibili "senza che nessuno si facesse male".

Come è andata? Beh, piuttosto male. Come del resto ampiamente prevedibile e previsto. 

Sull’Ilva il Governo ha messo in campo un decreto “nato senza risorse finanziarie certe, mal scritto ma presentato come una svolta”, al quale ha dovuto affiancare una serie di provvedimenti e di misure raffazzonate (l’ultima delle quali contenuta nel decreto recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale e di organizzazione dell'amministrazione giudiziaria (blindato, tanto per cambiare, con la fiducia al Senato della Repubblica). Nel frattempo, il Governo aveva già scelto la strada dell’amministrazione straordinaria, determinando “come diretta conseguenza, l’impossibilità, “per i cittadini tarantini di essere risarciti dall’Ilva per i danni ambientali”. Come ciliegina sulla torta, la magistratura ha rinviato a giudizio una trentina di persone, tra cui l’ex Governatore della Puglia Nichi Vendola.

A Pompei le cose sono andate leggermente meglio e tutto sommato procede il percorso di riqualificazione impostato dal Governo Letta e rilanciato da quello Renzi (è di qualche giorno fa la riapertura di un'altra zona di grande interesse). Il problema resta legato alle tempistiche dei lavori: difficile, per non dire impossibile, che i cantieri completino i lavori entro dicembre, la deadline ultima per non perdere i finanziamenti Unesco. Per tacere, ovviamente, di scioperi, assemblee e latenze contrattuali, che continuano a causare disagi ai visitatori. E per tacere dei soliti vuoti spottoni, cui si è immediatamente adeguato anche De Luca: si veda il caso della Palestra Grande, inaugurata in pompa magna con Franceschini e immediatamente chiusa fino ad ottobre.

Gioia Tauro resta progetto tra mille contraddizioni (e ancora non è chiarissimo chi metterò i soldi e entro quando vedremo i primi miglioramenti). E comunque, da marzo ad ora, è cambiato poco o nulla (e Roberti ancora aspetta delle risposte).

Bagnoli, infine, è proprio l'esempio dell'approccio di questo Governo al Mezzogiorno. Ad agosto dello scorso anno Renzi aveva garantito "tempi certi per la realizzazione dei progetti e subito il commissario", nel marzo scorso di nuovo era questione di giorni, ora, forse, ci siamo e il Governo si appresta a nominare Nastasi. Tutto bene, dunque? Nemmeno per sogno, considerando che nel frattempo la frattura con il Comune di Napoli è diventata praticamente insanabile, si è perso un anno e il coinvolgimento di Invitalia rischia di essere l'ennesimo buco nell'acqua. Vedremo, certo, ma la sensazione è che Renzi rischi di andare a sbattere sugli scogli di Bagnoli.

Ma si sa, i gufi abbondano, soprattutto al Meridione.

Il problema sono questi dati che si ostinano a contraddire la narrazione del Presidente del Consiglio: il tasso di disoccupazione è intorno al 21%, quella giovanile al 58%; è sempre forte il rischio desertificazione (solo nell’ultimo anno in 116mila sono stati costretti ad emigrare e la bilancia fra nati e morti è ancora in passivo); i consumi sono crollati del 13% negli ultimi 5 anni; dal 2008 al 2013 si registra un -53% degli investimenti e un -12% della produzione industriale; il Pil pro capite è quasi la metà di quello del Nord Est e via discorrendo.

Poi sono arrivati anche i dati Svimez, che hanno in qualche modo riaperto una discussione che sembrava passata in secondo piano. Poi è arrivata la lettera di Saviano. La reazione del Presidente del Consiglio è stata, a parere di chi scrive, un po' scomposta e un po' legittima. Al bullismo da posizione (con qualche integralista renziano che con la bava alla bocca ha chiesto la fustigazione in sala mensa per gli estensori del rapporto), Renzi ha alternato qualche considerazione "potenzialmente" molto interessante sul modello di sviluppo e sul modo in cui sono (o non sono) stati spesi i fondi erogati in questi anni.

Diciamo "potenzialmente" perché, come da manuale, il Presidente del Consiglio non chiude mai il cerchio, non arriva fino alle estreme conseguenze del suo ragionamento, costruisce iperboli e ragionamenti tortuosi, passa da una battuta ad uno slogan, si contraddice, media, poi affonda di nuovo. Sul Mezzogiorno poi la sensazione è che Renzi non abbia mai investito tempo e risorse per una riflessione organica e coerente (e del resto, era il "grande assente" della sua piattaforma programmatica): che lo abbia fatto volontariamente o no, questo è un altro discorso.

Perché se si rifiuta la logica piagnona e lamentosa di certo meridionalismo d'accatto, allora non ha senso annunciare "piani straordinari", "leggi speciali", nuove e sorprendenti iniziative. Se si sostiene (a ragione, certo) che le classi dirigenti meridionali hanno fallito nella gestione dell'enorme mole di risorse mobilitate negli ultimi anni, se si ritiene che prima di investire nuovi denari bisogna sfruttare al meglio ciò che già c'è, se si pensa che la risposta non sia erogare nuovi finanziamenti a pioggia, magari con l'ausilio di leggi speciali, beh, allora bisogna avere il coraggio di andare fino in fondo.

E allora? E allora ha ragione Renzi quando (oggi) dice che "affrontare il problema del Sud semplicemente con notizie ad effetto significherebbe tradire un problema che è molto più complesso". E ha ancora più ragione quando afferma che "la retorica del Sud abbandonato è autoassolutoria" e che la classe dirigente meridionale non può cavalcare un vittimismo che cozza con i dati di fatto. Però ora deve farsi carico di questa responsabilità. E mettere da parte, lui per primo, slogan e annunci.

Magari facendo chiarezza una volta per tutte su come sono stati spesi i fondi europei (il centrosinistra governa tutte le Regioni meridionali, riusciamo ad accertare mezza responsabilità, o no?), sul perché ne abbiamo persi altri (tanti) per strada e soprattutto sul cosa non ha funzionato. Poi, ecco, prima o poi la domanda sul senso dello "spendere tanto per spendere bisognerebbe farsela": come hanno mostrato Ciani e De Blasio su LaVoce, infatti, in questi anni i soldi piovuti nel Mezzogiorno e in particolare nelle aree dell'obiettivo convergenza non hanno affatto aiutato a combattere la crisi. Anzi, ancora peggio:

L’impatto medio dei fondi su tutte e tre le variabili è molto vicino allo zero. Risultati simili si ottengono mettendo in relazione il tasso di crescita medio e i pagamenti pro-capite cumulati per l’intero periodo. Insomma, anche tenendo conto delle diverse intensità con cui i singoli territori hanno subito le conseguenze della crisi, non sembra che una maggior spesa relativa ai fondi strutturali abbia determinato conseguenze apprezzabili.

Così come una seria riflessione andrebbe fatta sulla spesa pubblica, senza che ciò comporti necessariamente una "svolta liberista" (ma de che, oltretutto?) o una abiura del modello di welfare costruito in mezza Europa negli ultimi 70 anni.

Quello che ci propone Renzi oggi è in parte diverso (anche dalle proposte "result oriented", alla De Luca, per capirci): una riflessione, una consultazione ampia che preceda l'elaborazione di un piano organico per spendere bene i fondi europei, avere chiare le responsabilità delle scelte, premiare chi fa il suo lavoro, monitorare costantemente ciò che viene o non viene fatto. È una ottima decisione, che però rischia di essere seppellita dal solito insopportabile teatrino politico. E già, lo confessiamo, avevamo temuto che Renzi puntasse tutto sulla mezza balla del piano da 100 miliardi di euro, spacciandola per una sua gentile concessione quando si tratta di fondi europei.

Perché i soldi non servono a nulla senza una strategia di ampio respiro. E qualunque piano è destinato a fallire, senza un "supplemento d'anima", come avrebbe detto qualcuno.

Non che si tratti di un compito facile, sia chiaro. Perché la sfida è complessa, durissima, e servono spalle larghe e più risposte che domande.

Detto in maniera brutale: Renzi ha un'idea coerente della questione meridionale? Ha in mente un modello di sviluppo che sia lontano dall'assistenzialismo e al tempo stesso dal disimpegno completo della macchina statale? Ha la forza di elaborare un piano per garantire al Meridione un modello autonomo di sviluppo che ne modifichi radicalmente la struttura produttiva? Ha la volontà di costruire una classe dirigente radicalmente diversa che non si accontenti di chiudere un occhio sulla desertificazione, l'impoverimento complessivo e la fuga di giovani, in cambio di una nuova ondata di denaro a pioggia che tenga in piedi clientele e baracconi, notabilati e rendite di posizione? Ha la forza per capovolgere un sistema che ha imperato per decenni e che è la sostanza stessa della questione meridionale? Ha la legittimazione per affrontare elementi non peculiari ma decisivi del Sud come la criminalità, la corruzione, il malaffare?

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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