Renzi forza, la minoranza balbetta, Emiliano si scinde da se stesso
Se avesse un briciolo di epicità rientrerebbe di corsa nel mito l'assemblea nazionale del PD di oggi, una puntata che si aggiunge a tutti gli ultimi appuntamenti di confronto che, dopo il referendum di dicembre, vorrebbero essere una resa dei conti contro Renzi e poi finiscono per diluirsi in un brodino. Anche oggi, a Roma, è andato in scena il pugno di ferro del segretario Renzi (dimissionato), la solita minoranza che alza la voce ma si dimentica di dire per cosa e soprattutto un ineffabile Emiliano che rompe davanti ai giornali, media (male) di fronte a Renzi e ai delegati per poi rompere ancora via comunicato stampa.
Ma andiamo con ordine: i tempi del congresso (che a un osservatore esterno rischiano di essere gli unici veri punti della contesa) escono dalla trattativa tra maggioranza e opposizione blindati dal regolamento. Renzi infatti ha deciso di presentare le proprie dimissioni da segretario accelerando il percorso congressuale: il presidente del partito Orfini ha annunciato che in tempi stretti si riunirà la commissione congressuale per stilare il calendario dei prossimi mesi. Nessun "rallentamento" quindi e nessuna mano tesa a chi, come Emiliano, aveva chiesto di non forzare i tempi. È il solito Renzi: osa le regole fingendo di usarle utilizzandole come paravento. Se è vero che nel suo intervento iniziale simula di "aprire" alla minoranza è quando si addentra nella futura sfida che si infiamma davvero: condanna la parola "scissione" per accusare, subito dopo, qualcuno di volerlo "eliminare". Un incendiario travestito da pompiere.
La minoranza, invece, è la solita minoranza condannata ancora una volta a riuscire nella mirabile impresa di resuscitare il renzismo: mentre tutti si aspettavano di assistere alla tignosa rivendicazione dei temi di divergenza un blandissimo Epifani veniva mandato da solo in avanscoperta a rappresentare il dissenso e, non ce ne voglia Epifani, anche a fine assemblea diventa un'impresa riuscire a capire e sintetizzare i punti programmatici del contendere. Così è facilissimo per la maggioranza (Guerini in testa) parlare di un'opposizione ad personam contro Renzi e non sui contenuti, la discussione assume i contorni di un bisticcio e, da fuori, tutto appare come una banale lotta di potere. Le ultime voci dicono che la minoranza s'è scissa (bersaniani praticamente già fuori, alcuni ancora intenti a ricucire e altri che promettono di uscire martedì): non un bel vedere, sicuro.
Poi c'è Emiliano. Il presidente della Regione Puglia ha indossato nelle ultime settimane i bardamenti del condottiero senza macchia della minoranza non risparmiando bordate ai 1000 giorni di governo renziano. Oggi Emiliano avrebbe dovuto essere (nei sogni degli scissionisti ma anche dei renziani) il lanciatore primo del guanto della sfida sull'onda delle dichiarazioni infuocate degli ultimi giorni. Lui, invece, interviene dimesso riferendosi all'unità, parlando di "una soluzione vicinissimi" e addirittura ribadendo "fiducia al Segretario". Già così sarebbe bastato per definirlo piuttosto confuso ma a sera aggiunge la propria firma a un comunicato (questa volta durissimo) in cui si dice: «È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima.» L'unica notizia certa, forse, è che Emiliano almeno si è scisso da se stesso.
La telenovela continua.