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Omicidio Giulio Regeni

Matteo Renzi dice che sul caso Regeni l’Italia non poteva fare di più

Matteo Renzi è stato sentito come testimone al processo per l’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto. Secondo il leader di Iv, che all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio, “l’Italia non poteva fare di più di quello che ha fatto”.
A cura di Giulia Casula
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Oggi Matteo Renzi è stato sentito come testimone al processo per l'omicidio di Giulio Regeni. Nel 2016, quando il ricercatore friulano venne rapito, torturato e ucciso in Egitto, il leader di Italia Viva era presidente del Consiglio.

Al procedimento, che vede imputati i quattro agenti dei servizi segreti egiziani con le accuse di omicidio e sequestro aggravato, l'ex premier ha raccontato che "quando accade questo delitto efferato noi reagimmo arrivando al richiamo dell'ambasciatore". Quella di Giulio Regeni è una "vicenda terribile ed inaccettabile", ha detto in Aula. "Fu un fatto sconvolgente. La prima reazione fu da padre. Vorrei esprimere la mia vicinanza alla famiglia che si trova un ragazzo ucciso e ucciso in quel modo".

Alle domande del procuratore di Roma di Francesco Lo Voi sulle azioni intraprese dal governo Renzi immediatamente dopo aver appreso il fatto, Renzi ha dichiarato: "Se mi fosse stato chiaro da subito avremmo potuto attuare qualcosa in più ma il comportamento della Farnesina è stato legittimo. Vengo informato il 31 gennaio del 2016 dalla Farnesina e mi dissero – ha aggiunto – che qualcosa era accaduto, qualcosa di grave ad un nostro ricercatore. Noi mettiamo in campo tutti i nostri strumenti perché c'era crescente preoccupazione da parte degli apparati che, come è fisiologico, erano già a conoscenza della vicenda. Se dal 26 al 31 gennaio la Farnesina ritiene di ‘tenere bassa' una vicenda così complessa avrà fatto le sue valutazioni".

Davanti alla Prima Corte di Assise di Roma, Renzi ha proseguito nella sua ricostruzione. "Io ho avuto 3 o 4 telefonate con Al Sisi tra febbraio e marzo del 2016. La prima telefonata subito dopo la notizia ufficiale della morte e gli dissi che saremmo andati fino in fondo e che era una vicenda inaccettabile e chiedemmo la totale collaborazione ma non sono mai entrato nel merito delle indagini. Lui mi disse che da padre capiva il dolore dei genitori e della famiglia", ha detto. "Ogni giorno scompaiono dieci cittadini italiani al giorno, per la maggior parte si risolvono, la rilevanza politica a me viene posta il 31 gennaio", ha aggiunto.

L'ex presidente del Consiglio ha poi ricordato l'incontro con il presidente della Repubblica Abdel Fattah Al Sisi, che all'epoca dei fatti era già alla guida del Paese. "Io dopo la tragica vicenda di Giulio ho incontrato Al Sisi al G20 in Cina nel settembre del 2016. Lo incontrai per esprimere delusione. Agli egiziani dicemmo subito ‘non accetteremo verità di comodo': questo è il filo rosso dei mesi successivi alla morte di Regeni. A marzo del 2016 l'Egitto ci diede una verità di comodo che noi respingemmo", ha detto.

Riguardo l'operato dell'allora governo in carica, Renzi si è detto convinto che l'Italia non potesse fare di più.  "Con sincerità io credo di no. Possiamo essere orgogliosi perché come italiani non abbiamo messo il business al primo posto. Altri si sono comportati in maniera diversa", ha detto.

"Non c'è contraddizione tra il racconto che viene fatto da lei e la procedura burocratica attuata", ha proseguito rispondendo al legale della famiglia Regeni. "Tecnicamente Palazzo Chigi é informato immediatamente dei fatti, perché Aisi, Aise e Dis sono Palazzo Chigi, ma questo non significa che il presidente del Consiglio è immediatamente informato", ha spiegato. "Ogni giorno, purtroppo, ci sono 10 scomparse di cittadini. In questa vicenda l'Italia ha avuto il coraggio di andare fino in fondo e io non ci ho dormito di notte", dice.

Chiamato a fare chiarezza sulle date e sulla tempestività dell'intervento del suo governo, Renzi ha chiesto: "Cosa potevamo fare in più? Certo, se avessi capito subito il 25 che la situazione era quella, avremmo potuto fare quello che abbiamo fatto il 31. Ma, con sincerità, non credo si potesse fare di più", ha detto. "Non si è pensato subito a una situazione di questo tipo anche perché ove si fosse ritenuto di essere in presenza di una ‘allerta rossa' nessuno avrebbe impedito all'ambasciatore di telefonarmi".

Il leader di Iv ha poi smentito l'esistenza di chiamate su ‘linee riservate' tra lui e l'allora ambasciatore in Egitto. "Non c'è nessuna telefonata criptata tra me e altri, se non con il presidente degli Stati Uniti", ha affermato. "Le smentisco ci fosse linea riservata tra Roma e Il Cairo, probabilmente si riferiva a chat come Signal e Telegram e non a WhatsApp", ha ribadito.

"Se ci fosse stata allerta rossa nulla avrebbe impedito all'ambasciatore di chiamarmi, aveva il mio numero di cellulare. Io con l'ambasciatore parlo il 31, non prima e lo chiamo io, e lui mi dice che è una vicenda drammatica e temeva epilogo drammatico", ha proseguito, prima di rivolgere una critica al governo britannico che secondo Renzi non avrebbe fatto abbastanza. "In questa vicenda l'Italia è voluta andare fino in fondo e non ha fatto come gli inglesi che, a mio avviso, non hanno detto tutta la verità e mi riferisco all'università inglese che avrebbe dovuto collaborare di più. Io chiesi all'allora primo ministro Teresa May massima collaborazione. L'Italia non poteva fare di più, non abbiamo messo le relazioni diplomatiche davanti alla morte di un cittadino italiano ed è chiaro che la morte di Giulio Regeni è avvenuta per mano egiziana", ha concluso.

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