Alla fine sarà congresso. Renzi ha dovuto cedere alla minoranza del partito e cambiare i piani iniziali che prevedevano la chiamata alle urne il prima possibile e oggi, in direzione allargata, ha proposto un documento (passato a maggioranza) in cui si decide di passare dal congresso e silenziare le discussioni sulla durata del governo Gentiloni. Renzi apre la direzione indossando panni del leader responsabile pronto a trovare qualsiasi mediazione pur di scongiurare il rischio di una scissione, riconoscendo di avere commesso degli errori ("Abbiamo fatto analisi del voto, interviste col capo cosparso di cenere"), di avere scontato il proprio fallimento ("Mi sono dimesso da Palazzo Chigi. Ho pagato il pegno.") e prova a "depersonalizzare" la battaglia congressuale ("Leggo che qualcuno voleva il congresso per costruire alternativa al renzismo. Troppo onore. Io penso dovremmo costruire alternative al trumpismo, al massimo al grillismo").
Eppure, in fondo, nonostante gli sforzi lui è sempre uguale a se stesso: quando accenna alle sofferenze del sistema bancario tira una stoccata non riesce a trattenere una stoccata alle banche pugliesi (con buona pace di D'Alema e Michele Emiliano) con il solito piglio canzonatorio ("Mi fa piacere poter discutere con voi. Io non vedo l’ora che parta la commissione d’inchiesta sulle banche, perché è sembrato a un certo punto che il problema fossero due o tre banchette toscane") e si dichiara infastidito dal "ritorno dei caminetti". In risposta Emiliano, inoltre, trova il tempo (durante la sua relazione finale) anche per citare il "ciaone" di Ernesto Carbone che, dice Renzi, ha risuonato con grande eco.
I panni del "responsabile" non gli stanno bene addosso, non c'è che dire: il leader del Pd è ancora fermo a quel giorno di dicembre in cui andò a schiantarsi con un referendum che avrebbe dovuto essere un'investitura e ora la prospettiva del congresso diventa l'occasione per una personale rivincita. La minoranza del PD, da canto suo, non riesce a evitare i trabocchetti del segretario e, da fuori, continua a apparire debole e sempre concentrata sui politicismi dei tempi, dei regolamenti e delle dinamiche di partito anche Emiliano che prova a stemperare le sue dichiarazioni dei giorni scorsi su un PD più amico dei petrolieri e dei golfisti è un punto a favore dell'ex presidente del consiglio.
Forse la novità è che ora Renzi si ritrova nella posizione più congeniale, quella dell'assalto al potere, dove difficilmente trova qualcuno in grado di tenergli testa: i 12 voti contrari (e i 5 astenuti) rendono perfettamente la dimensione di compattezza che c'è tra i renziani della classe dirigente e la clausola di accettazione della sconfitta (che oggi l'ex premier ha ripetuto più volte) inchioda la minoranza del PD a una fedeltà ben lontana dai propositi rivoluzionari sbandierati nei giorni scorsi. Siamo alle solite, in fondo: nessuna autocritica sulle politiche (se non al massimo sugli atteggiamenti), la solita derisione della minoranza e una sostanziale distanza dal governo Gentiloni (quasi invisibile nel dibattito se non per il ministro Martina e i bersaniani). E il dubbio che l'occasione mancata con il referendum si ripresenti grazie ai servigi della "sinistra" del partito. Del lavoro, l'economia, l'Europa o la scuola se ne parlerà un'altra volta. Forse.