Regionali, Giuseppe Conte a Fanpage.it: “Da Meloni giravolte e tradimenti, ha illuso gli italiani”
Elezioni regionali, politica estera tra Medio Oriente e Ucraina e la corsa verso le europee: sono i temi su cui si è soffermato il presidente del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte, in una lunga intervista con Fanpage.it. L'ex presidente del Consiglio per prima cosa fa un bilancio del voto in Sardegna, che ha visto la coalizione progressista trionfare con Alessandra Todde, per poi guardare alla prossima Regione alle urne, l'Abruzzo, e infine commentare alcune delicate questioni sull'attualità geopolitica, come quella delle armi all'Ucraina o quella dell'impegno per il cessate il fuoco in Medio Oriente.
Siamo a cavallo tra due importanti appuntamenti elettorali: c'è stata la Sardegna e tra poco toccherà all'Abruzzo. Cosa è andato particolarmente bene per voi in Sardegna?
Quando c'è un risultato così positivo è sicuramente perché c'è un malcontento accumulato, parlo di insoddisfazione per la gestione uscente della giunta uscente. Ma poi sicuramente c'è stato un progetto politico serio, credibile, affidato a un'interprete – il centravanti di punta – Alessandra Todde, persona competente, capace. Una persona sarda che ha saputo interpretare e ascoltare le persone, interpretare i loro bisogni. Ed è stata molto credibile come candidata. C'è un'esigenza di rinnovamento che si è tradotta in questo voto: è stata una formula vincente.
Ma secondo lei, quanto è importante che ci sia una coerenza tra le alleanze che si formano a livello locale e la situazione poi a livello nazionale?
Quando si vota a livello territoriale le persone guardano ai candidati, guardano i bisogni concreti. Certo, si può creare un'interferenza anche con un contesto politico nazionale, quello sì. Io credo che in Sardegna abbia influito anche il fatto che in qualche misura – non saprei quantificarlo – Giorgia Meloni abbia voluto dare il proprio imprinting. Bisogna considerare che c'è molta insoddisfazione per questo governo nazionale, per l'attività di governo. Tra giravolte e tradimenti c'è stata una perdita di credibilità anche di Meloni e del governo nazionale. Il fatto di aver voluto mettere il timbro nella scelta del candidato, Paolo Truzzu, umiliando anche gli alleati, così come il fatto di essere venuta a fare un comizio finale alla velocità della luce, senza fermarsi a parlare con i cittadini, sicuramente può aver inciso nel risultato.
Tra qualche giorno si voterà in Abruzzo. Il governo nazionale di Giorgia Meloni, se per il centrodestra dovesse andare male, è a rischio?
Non direi proprio a rischio, ma sicuramente sarebbe un duro colpo per Giorgia Meloni. E per Fratelli d'Italia, perché l'Abruzzo è diventato un po' il feudo di FdI, la succursale della sezione di Colle Oppio. Marco Marsilio è una persona fidatissima, è stato messo lì creando un sistema di potere direttamente ricollegabile al partito guidato da Roma.
Ma proprio per imprimere una svolta – rispetto al grande e diffuso malcontento che c'è in Abruzzo – noi per prima cosa abbiamo pensato: è possibile su 1.300.000 abruzzesi non è possibile affidare la guida del governo regionale a un abruzzese doc? Possibile che non ci sia una persona seria, competente e capace? Ecco, questa persona noi l'abbiamo trovata in Luciano D'Amico. Quindi, per rispondere al malcontento diffuso in materia di sanità, di infrastrutture ,di protezione delle bellissime risorse naturali, abbiamo pensato di costruire un nuovo progetto ed affidarlo a un abruzzese. L'Abruzzo, agli abruzzesi.
Parliamo di politica estera: Giorgia Meloni è appena tornata da un viaggio a Washington su cui lei ha avuto delle critiche, ci può spiegare?
Il tema è la postura di questo governo per quanto riguarda la politica europea e la politica estera. Il problema non è la visita a Washington, ovviamente, ma Giorgia Meloni ha illuso grandemente il suo elettorato: ha preso voti dicendo che l'Italia avrebbe riacquistato una credibilità che secondo lei aveva perduto e soprattutto avrebbe difeso interessi nazionali con grandissima forza e vigore. Ma ora mi sembra che a Bruxelles assolutamente non batta assolutamente un colpo, perché da ultimo ha accettato un Patto di stabilità e crescita – l'accordo franco tedesco – che ci mortifica, mortifica la nostra economia enormemente per tutti gli anni a venire.
E a Washington non ha fatto altro che seguire in modo pedissequo e passivo le indicazioni che arrivano su tutti i fronti internazionali. E allora io dico: se esiste una Alleanza Atlantica, il Movimento Cinque Stelle ci vuole stare – questo non lo mettiamo assolutamente in discussione – ma con gli alleati si parla, si discute e si cerca anche di indirizzare a soluzioni quelle che sono le questioni internazionali più spinose, tutelando gli interessi nazionali, quelli europei e ovviamente privilegiando la pace alla guerra.
Tutto questo non sta accadendo. E addirittura Giorgia Meloni si ritrova anche in ritardo, quando gli Stati Uniti sterzano come è successo a Gaza, dove si sono resi conto che questa carneficina non può continuare e quindi hanno tolto la copertura politica a Israele. Ma anche qui Meloni, non si è accorta che le istruzioni.
Quindi la sua non era una critica a Joe Biden? Perché c'è anche chi l'ha letta come è una critica a Biden mentre strizza l'occhiolino a Donald Trump…
Biden dal suo punto di vista svolge la sua azione politica, che è quella di essere ben lieto e contento di poter baciare in testa un alleato così fidato, così fedele e così acquiescente alle proprie istruzioni. Se dovessimo aprire il discorso e gettare un faro su quella che è la prospettiva delle elezioni politiche, si aprirebbe un ragionamento molto più articolato.
Parliamo allora di Medio Oriente. Se lei oggi fosse ancora presidente del Consiglio, cosa farebbe di diverso per arrivare a un cessate il fuoco, a una soluzione tra Israele e Palestina, rispetto a quello che sta facendo invece il governo attuale?
Ci sono delle azioni concrete e poi delle azioni, anche dal punto di vista della forza comunicativa, molto importanti che avrei fatto. Subito avrei chiamato Benjamin Netanyahu. L'ho detto chiaramente il giorno dopo il 7 ottobre: dopo aver portato la solidarietà dell'intero Movimento Cinque Stelle ai presidenti delle comunità israelitiche italiane, io però ho subito preannunciato che avremmo dovuto fare attenzione. Se la reazione legittima di protezione degli interessi di Israele – ho detto – però dovesse essere in violazione del diritto internazionale umanitario, il Movimento cinque Stelle lo denuncerà fermamente. E così è accaduto.
Era chiaro che sarebbe arrivata una reazione che si preannunciava potenzialmente sproporzionata. E così sta accadendo, assolutamente. Bisognava subito avvertire Netanyahu e il suo governo a trazione ultradestra radicale conservatrice che non avremmo tollerato, che non li avremmo assecondati in una reazione del genere.
Dopodiché ovviamente vi sono state occasioni concrete: per due volte si è votato una risoluzione per il cessate il fuoco all'assemblea delle Nazioni Unite e il nostro governo, pilatescamente, ha si è astenuto.
Sempre per quanto riguarda la situazione in Medio Oriente, c'è stato un voto sulla missione Aspides in Parlamento che ha visto anche la convergenza del M5s…
Io credo che il Movimento cinque Stelle abbia dato un grande contributo, perché abbiamo spinto il governo a chiarire, senza nessuna ambiguità, che questa missione ha scopi difensivi. Si tratta cioè di garantire il transito alle flotte mercantili nel Mar Rosso e da questo punto di vista, quindi, riguarda l'interesse nazionale, europeo e internazionale che va assolutamente salvaguardato. Ma ci siamo premurati che il governo non abbia alcuna tentazione di confondere questo obiettivo economico legittimo con obiettivi militari strategici che invece non ci appartengono affatto. E abbiamo anche imposto al governo di venire a riferire costantemente in Parlamento: non permetteremo che possa travalicare questi limiti e confini ben precisi.
Invece, per quanto riguarda l'Ucraina: in questa fase, che a livello militare è favorevole per la Russia, è ancora giusto insistere nella posizione di non inviare armi a Kiev?
Quello che sta succedendo adesso è quello che avevo previsto, cioè che era impossibile riportare una vittoria militare sulla Russia. Era una situazione assurda, anche perché se ci fosse stata questa possibilità – cioè di schiacciare la Russia all'angolo – avrebbe voluto poi dire di accettare ancor di più il rischio di una escalation militare nucleare, visto che Mosca dispone di seimila testate.
Ecco perché sin dall'inizio, come abbiamo detto, bisognava subito impostare un negoziato di pace, con tutte le difficoltà del caso: un percorso irto di accidenti, di difficoltà, aspro, ma l'unica via che ci poteva offrire una via di uscita da questo conflitto bellico. Una strategia militare non poteva portare a risultati. E adesso lo stiamo pagando sulla pelle della popolazione ucraina, con tutto quello che ne consegue. Il fatto di voler continuare in questa strategia militare esporrà la popolazione ucraina a rischi ancora maggiori. Al di là delle distruzioni che ci sono state fino adesso, che ci imporranno circa 500 miliardi di investimenti per la ricostruzione; al di là dei 500.000 uomini tra morti e feriti in battaglia e 10.000 vittime civili: tutto questo non avrà mai fine. È una strategia militare fallimentare. Se avessimo investito sforzi diplomatici, politici, tutte le nostre risorse anche in termini di energie, per un negoziato di pace, non abbiamo la sfera di cristallo, ma forse adesso una via d'uscita l'avremmo.
Ma oggi, adesso, è ancora possibile? Perché c'è chi dice se noi smettessimo di inviare armi ci sarebbe semplicemente un'invasione…
Questo si è detto fin dall'inizio, non è che oggi cambia qualcosa rispetto ai primi giorni dopo l'invasione. Il tema è che sicuramente il nostro potere negoziale era più forte a caldo, quando noi abbiamo detto impostiamo subito un negoziato di pace. Avremmo dovuto coinvolgere anche la Cina. Avremmo dovuto anche farci aiutare degli altri Paesi Brics. Però per logiche assolutamente belliche si è cercato di spaccare il mondo in due e questi sono i risultati.
Man mano che passa il tempo il potere negoziale diminuisce perché noi siamo delle democrazie. E nelle democrazie contano le opinioni pubbliche: quando si va a votare pesano le opinioni pubbliche, che sono stanche della guerra. E allora i governi, ovviamente sensibili al consenso, rischiano poi di abbandonare a sé stessa l'Ucraina.
Abbiamo parlato di elezioni regionali, però c'è un altro appuntamento all'orizzonte che è quello delle Europee. Come M5s quali saranno le priorità della vostra campagna elettorale?
Noi confidiamo di avere un grande consenso per portare un buon numero di europarlamentari che faranno sentire la loro voce verso i negoziati di pace, verso il cessate il fuoco per quanto riguarda Gaza. In tutti gli scenari porteremo la nostra visione, che è una visione multipolare, non unipolare. Non vogliamo spaccare il mondo in due, con la Nato contro il resto del mondo. Credo che questo sia un atteggiamento completamente sbagliato. Dobbiamo impostare una difesa comune europea, che ci consenta di razionalizzare gli investimenti militari e non invece, come qualcuno sta intendendo, di scorporare gli investimenti militari dal conteggio del deficit.
Poi vogliamo una transizione ecologica, vogliamo politiche del lavoro efficaci. Noi siamo per salario minimo legale in tutti i paesi europei, anche in Italia dove non ancora è stato introdotto. Siamo per la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario. Siamo per una cintura di protezione a livello europeo, visto che questo governo anziché fare la guerra alla povertà ha fatto la guerra ai poveri.
Il nostro presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dice: "Vi abbiamo tolto il reddito di cittadinanza, non avete nulla da mangiare, ma riportiamo le infrastrutture di cittadinanz". Lo spieghi ai cittadini che non hanno di che mangiare, come si mangia con questa formula delle infrastrutture di cittadinanza.