Regionali, cosa succederà nella leadership del centrodestra: Salvini alle prese con il fuoco amico
I risultati delle elezioni regionali aprono la questione della leadership del centrodestra. Con la vittoria di un candidato di Fratelli d'Italia, Francesco Acquaroli, nelle Marche, il successo di Giovanni Toti, ex azzurro e leader di Cambiamo!, in Liguria e il trionfo di Luca Zaia in Veneto, la cui lista ha superato quella della Lega Salvini, il leader del Carroccio si trova a dover rivendicare il suo ruolo di guida della coalizione. Matteo Salvini sottolinea che le leadership "le decidono i cittadini e la Lega è il primo partito in questo Paese e il primo partito del centrodestra sostanzialmente in tutte le Regioni in cui si è votato".
Zaia, Meloni e la leadership alternativa
Il segretario del Carroccio, commentando a caldo i risultati delle regionali, quindi ribadisce: "Le leadership non si decidono a tavola, le dicono gli elettori con il voto. Io non ho competitori interni alla coalizione". Ma mentre rassicura sulla solidità della sua figura di leader, Giorgia Meloni sottolinea come Fratelli d'Italia sia "l'unico partito che cresce da Nord a Sud in tutte le Regioni al voto" e Zaia lancia un affondo: "Perché vinco? Io governo, non vado in giro a fare comizi tutto l'anno", commenta il governatore neo rieletto governatore veneto. Che pur assicurando di non puntare a Roma e di essere concentrato sull'amministrazione della Regione, rischia di diventare sempre più una minaccia per l'ex ministro dell'Interno. E da un sondaggio di Nando Pagnoncelli andato in onda ieri sera a diMartedì su La7 emerge che, se per il 46% degli intervistati Matteo Salvini resterà effettivamente il leader della Lega, per il 35% Luca Zaia si troverà presto a ricoprire questo ruolo. Una percentuale sempre più rilevante di elettori che vede nel governatore un'alternativa per la leadership del Carroccio.
L'affondo di Toti
La stangata finale arriva dal governatore della Liguria, Giovanni Toti, anche lui rieletto dopo il voto del 20 e 21 settembre. "Abbiamo dimostrato come una coalizione con una solida gamba moderata, accogliente ma non succube delle idee sovraniste, possa unire nel centrodestra antiche culture e nuove esigenze", afferma il leader di Cambiamo! in un'intervista con il Corriere della Sera. E proprio riguardo al ruolo di Salvini come guida della coalizione del centrodestra, aggiunge: "Per essere il capo, servono due cose. I numeri e la capacità di gestire la coalizione. I primi ci sono, la seconda per ora no. Matteo potrebbe essere l’architetto del centrodestra, ma al momento non mi risulta che abbia alcun progetto. Si concentra solo sulle sue battaglie, va per conto suo. Non ascolta chi gli vuole bene. E a forza di dare spallate, finisce per rimediare una lussazione dopo l’altra". E infine: "Siamo ancora amici, almeno credo. Ma da lui e dai suoi mi aspettavo sorrisi e brindisi, non i musi lunghi di questi giorni. Questa dovrebbe essere la differenza tra il segretario di un partito e il leader di uno schieramento".
Carfagna: "Quinquennio d’oro del populismo è finito"
Anche la deputata di Forza Italia Mara Carfagna, attacca il polo sovranista: "Il centrodestra deve ammettere che il quinquennio d’oro del populismo è finito. Può portare ancora voti a Lega e FdI ma spaventa i moderati, che restano a casa o si rivolgono ad altri. Questo dimostra che la recente gestione di Forza Italia si è mostrata inadeguata. Così non riusciremo ad arrivare al governo", afferma in un'intervista con il Mattino.