Regeni, la famiglia non ha ancora ottenuto il fascicolo: “L’Egitto non collabora con noi”
Dopo più di 20 mesi di indagini la piena soluzione del caso di Giulio Regeni continua a sfuggire. I genitori e il suo avvocato, Alessandra Ballerini, avevano pensato di essere a un passo dall'ottenere almeno il fascicolo egiziano aperto dopo il ritrovamento del giovane ricercatore, il 3 febbraio 2016 al Cairo. Ma dopo promesse (mai mantenute) e snervanti rinvii, fino ad ora le richieste formali si sono rivelati un vicolo cieco.
Amnesty International, Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e la famiglia Regeni vogliono tenere alta l'attenzione sul caso e così hanno creato una sorta di "scorta mediatica" per richiamare l'attenzione della società civile su Giulio. Il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha chiesto ieri con una lettera al premier Gentiloni quali passi avanti siano stati fatti: questa domanda verrà riproposta al governo ogni mese.
Le indagini a singhiozzo e il tira e molla con l'Egitto
L'invio dell'ambasciatore italiano al Cairo, il 14 settembre, ha gettato ancora di più un'ombra sugli sforzi realmente condotti dal governo italiano: l'unica pressione che l'Italia poteva davvero esercitare sul governo egiziano era l'interruzione delle relazioni diplomatiche. Con quest'ultimo atto l'Egitto ha rigirato la trattativa a suo favore, dilatando i tempi per la ricerca della verità, e ponendosi ancora una volta in una posizione di forza.
"Mi ero recata personalmente dall'ambasciatore egiziano a Roma il 25 febbraio del 2016 – spiega durante la conferenza stampa di oggi, venerdì 13, alla sede dell'FNSI l'avvocato Alessandra Ballerini – abbiamo effettuato la complicata procedura per richiedere il fascicolo, nominando i nostri legali al Cairo. Abbiamo le carte che dimostrano che i nostri legali il 30 maggio e il 22 dicembre 2016 si sono effettivamente recati in Procura".
I primi di settembre la Procura del Cairo, per rispondere alla Procura italiana che chiedeva conto del fascicolo, ha detto che i legali di Regeni in realtà non si erano mai presentati per fare richiesta, nonostante le istanze fossero protocollate.
Il procuratore capo Nabil Ahmed Sadek lo scorso 6 dicembre a Roma ha incontrato il procuratore generale Pignatone per discutere dell'inchiesta, e con lui anche i genitori di Regeni; stringendo loro la mano li aveva rassicurati circa la possibilità di accedere a quel fascicolo, precisando:"State tranquilli, è cosa fatta". Era la terza volta che Giuseppe Pignatone incontrava il procuratore Sadek: lo aveva già visto un'altra volta al Cairo e in un'altra occasione a Roma. Ma l'idea che le autorità egiziane stiano solo cercando di prendere tempo sperando che le indagini cessino sembra più che un semplice sospetto. Una tecnica fin troppo abusata quella di differire il più possibile le scadenze e gli impegni presi, per insabbiare verità scomode.
E così l'8 giugno 2017 il legale egiziano delle famiglia ha spedito un'altra lettera alla Procura egiziana, ricordando che per legge la parte offesa può avere accesso a quei documenti. Ma dopo altri solleciti gli avvocati di Regeni non hanno saputo nemmeno il numero di quel fascicolo. Il 14 agosto è arrivata la notizia che i familiari di Regeni non avrebbero voluto ascoltare: viene annunciato l'invio dell'ambasciatore italiano al Cairo, sulla base di una presunta collaborazione nelle attività di indagine da parte del governo egiziano. La procura egiziana aveva infatti promesso che avrebbe mostrato i video della metropolitana, nel luogo in cui Giulio scomparve il 25 gennaio del 2016. Video che sarebbero dovuti passare nelle mani degli avvocati di Regeni entro la fine di settembre. Ma fin ora non c'è stata alcuna telefonata per fissare l'appuntamento.
Intanto Ibhrahim Metwaly, consulente legale egiziano dei Regeni, si trova ancora in carcere, dallo scorso 10 settembre, quando è stato arrestato all'aeroporto del Cairo, mentre si stava imbarcando su un aereo diretto a Ginevra, dove avrebbe dovuto tenere una conferenza sulle persone scomparse: avrebbe dovuto presentare un dossier dell'associazione Ecrf, l'ong egiziana che si occupa di diritti umani, di cui fanno parte i consulenti della famiglia del ricercatore. Ora di lui si sa poco o nulla: si sa solo che gli è stato impedito di vedere i suoi familiari, è in isolamento, torturato con l'elettricità, in un centro di detenzione di Stato: due giorni fa il suo fermo è stato ulteriormente convalidato. Potrebbe essere condannato a morte.
Dopo l'invio dell'ambasciatore italiano, il 20 settembre l'Ecrf ha subito l'irruzione degli agenti della National Securety, i servizi segreti egiziani: volevano chiudere la sede. Il giorno dopo l'ambasciatore Cantini ha incontrato Sadek ancora una volta. Il procuratore egiziano ha ribadito la volontà di rendere il fascicolo all'Italia, ma ha cercato di temporeggiare, sostenendo che la nomina dei legali fatta dai Regeni non è formalmente corretta: la procedura doveva essere azzerata, ripetendo anche l'istanza di accesso al documento. "Ovviamente non c'era nessun errore", ha commentato l'avvocato Ballerini. Con una nuova nomina degli avvocati, il 3 ottobre, si è così riaperto il tira e molla.
E adesso l'avvocato Ballerini sta aspettando di poter tornare al Cairo, ma in sicurezza, insieme ai genitori, organizzando una delegazione di giornalisti, perché il viaggio in un Paese in cui la vita umana non vale nulla potrebbe ancora metterli in pericolo. Ma l'avvocato questa volta è ottimista, l'iter, dice, si potrebbe concludere nei prossimi 15 giorni. Per gli avvocati dell'ong egiziana "La verità sulla vicenda di Giulio Regeni fa paura all'Egitto, perché danneggerebbe l'interesse nazionale". Per questo i consulenti legali continuano a rischiare la vita e a ricevere, nel migliore dei casi, minacce di morte.
"Abbiamo la verità storica di quello che è successo, abbiamo anche i nomi – ha concluso la Ballerini – Il perché è solo la paranoia di un regime".