Ce l'hanno fatta. L'ho scritto con la terza persona plurale però ho firmato anch'io. Scrivo così questo articolo a carte scoperte, le regole mi permetterebbero di celare la mia firma ma preferisco la discussione franca, senza scudi. E dunque sì: io ho firmato il quesito referendario già nei primi giorni della raccolta, quando ancora eravamo pochini, mentre nel momento in cui scrivo le firme veleggiano sulle 600.000. Un'enormità per una raccolta firme (con spid) iniziata il 6 settembre.
Il referendum sulla cittadinanza non è una questione partitica (non dovrebbe esserlo), ma di civilità. Vorrei dire una questione "di vita", e certamente lo è, se questa parola non fosse stata sequestrata dai "Pro Life" che la tengono segregata a doppia mandata nello scantinato (e la dissotterrano soltanto per farne ascia di guerra nei consultori).
Dopo un'estata in cui Forza Italia ha scoperto lo Ius Scholae e lo ha trattato come un giocattolino per dimostrare che lei esisteva, e poi lo ha riposto nel cassetto degli attrezzi appena conquistata la visibilità necessaria per tenere Salvini indietro nei sondaggi, il referendum dà la possibilità di fare sul serio.
Il referendum sulla cittadinanza – se riuscirà a districarsi da un percorso per niente certo che lo attende – impatterà direttamente sulla vita di due milioni di persone che da anni vivono in Italia, lavorano, pagano le imposte e hanno figli e figlie che frequentano le scuole italiane. Se mangiano una pizza fuori, lo fanno qui. Se comprano la pasta per la pizza e la cuociono a casa in forno, lo fanno qui. Il gas lo pagano a un'azienda italiana. La carta igienica, il sapone, gli assorbenti, stessa cosa. Un cinema, sempre qui. Hanno un sacco di difetti e qualche pregio le persone straniere che vivono in Italia, esattamente come chi in Italia ci è nato. Persone generose, irascibili, gentili, forti, alte, impaurite, coraggiosissime. Ce ne sono di tutti i tipi, non credo che questo sia un notizione.
Le persone straniere che vivono in Italia guardano la politica in TV, qualche volta la praticano, però – attenzione! -non possono votare. Questo è uno degli effetti della mancanza della cittadinanza italiana. Subiscono le scelte di chi può votare ma non possono esprimere il loro pensiero in cabina elettorale, strano Paese il nostro.
La verità - ca va sans dire – è che le persone straniere che vivono in Italia sono persone indistinguibili da una qualsiasi altra persona nata in Italia, se non fosse (spesso, neanche sempre), per il colore della loro pelle. Ma voi converrete con me che negare tempi ragionevoli per la cittadinanza in base al colore della pelle di una persona sia un atteggiamento pregiudiziale. Qualcuno direbbe razzista.
"La cittadinanza va meritata", urlano dal poggio. Come se chi lo urla avesse fatto qualcosa per meritarla, come se essere nati in Italia fosse una virtù e non una casualità, cioè una botta di (immeritata) coincidenza. Come se non fosse invece un privilegio poter conoscere il "problema della cittadinanza" soltanto da grandi, dai titoli sui giornali che comunque parlano di altri e non di noi.
"La cittadinanza non si regala", fanno eco dal rialto. Come se loro l'avessero pagata, come se riconoscere un diritto fosse una tassa, come se oggi "gli stranieri che ottengono la cittadinanza" non la pagassero già cara, anche economicamente. E non fossimo invece noi, cittadini italiani di nascita, a cui ci è stata regalata appena siamo nati.
Dimezzare il tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana, riportandolo a 5 anni per i cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, come era legge anche da noi fino al 1992, non è un azzardo: in Europa lo fanno già quasi tutti. L'Italia nel 2019 arrivava quattordicesima per semplicità nel rilascio della cittadinanza. Se dal conteggio escludiamo i paesi dell'Est Europa, eravamo terz'ultimi.
Riconoscere la cittadinanza italiana a chi già da anni vive in Italia, non è un favore. Non è neanche una cosa che ci farebbe buoni, al massimo giusti. Soprattutto aiuterebbe le varie comunità a sentirsi coesi, parte di un insieme. Ci aiuterebbe anche a salvaguardare le differenze, che a quel punto non sarebbero più motivo di divisione, muro da abbattere, diversità su cui improntare battaglie ideologiche, ma specificità più o meno curiose o interessanti in grado di ampliare l'offerta del nostro Paese.
La cittadinanza non è una questione esclusivamente di partiti, che poi la legge dovranno comunque farla, ma sociale. Riconoscere un diritto purifica l'aria, l'odore dei fiori è più forte quando le persone hanno la possibilità di esprimersi come gli altri. Le favole finiscono meglio, le principesse si salvano da sole, la Primavera smette di tardare.
Riconoscere un diritto è un fatto che riguarda tutti, anche quando ci sembra che riguardi pochi.
Riconoscere un diritto è come Bella Ciao cantata in coro, aggrega. Un tramonto quando cambia colore, o Benigni quando prende in braccio Enrico Berlinguer. Sembra che – per un attimo – il mondo si riequilibri un po', che le farfalle vadano d'accordo con i bruchi, noi con noi stessi, e che le persone siano considerate tutte uguali per davvero.