Come vi stiamo raccontando, da settimane imperversa la polemica politica sul testo del quesito che gli italiani troveranno sulla scheda elettorale il 4 agosto, quando si troveranno a dover scegliere se promuovere o bocciare la riforma della Costituzione che porta la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. La formulazione del testo è ora oggetto di un ricorso al Tar del Lazio proposto da Comitato per il No, MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà, che la considerano uno “spot pubblicitario a favore del Sì”.
Il testo in questione recita:
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”
La genesi del percorso che ha portato tale formulazione sulla scheda elettorale è ricostruita da Paola Di Caro sul Corsera:
La ricostruzione è nello stesso tempo semplice ma contestata. È vero infatti che il quesito che comparirà sulla scheda non è frutto della volontà del governo né tantomeno è di pertinenza del capo dello Stato, ma è stato valutato e accolto dalla Corte di Cassazione. La spiegazione arriva dagli ambienti del Quirinale, che chiamato in causa dai ricorrenti si chiama fuori dalla contesa: il quesito è stato valutato e ammesso, con proprio provvedimento, dalla Corte di Cassazione in base a quanto previsto dall’articolo 12 della legge 352 del 1970, e riproduce il titolo della legge quale approvato dal Parlamento.
Del resto, come ha chiarito anche Renzi, anche nel 2001 e nel 2006 è stata utilizzata l’intestazione della legge approvata in Parlamento, in conformità all’articolo 16 della legge 352 del 1970 (che non stabilisce regione ferree per quanto concerne la sintesi della riforma costituzionale da inserire sula scheda elettorale).
Tutto normale, dunque? Più o meno, perché ricorrenti contestano proprio la decisione della Cassazione e interessano il Tar perché accolga il ricorso (o sperano che la stessa Suprema Corte si corregga). Ugo Magri su La Stampa spiega che “nelle leggi di revisione costituzionale si dovrebbero elencare sulla scheda gli articoli da cambiare, indicandone il contenuto; per le altre leggi costituzionali, invece, è sufficiente specificare l’argomento cui si riferiscono”, dunque “secondo i ricorrenti la formulazione renziana non indica gli articoli uno per uno, come secondo loro avrebbe dovuto, e per spiegare il contenuto usa il titolo propagandistico della Boschi”.
Ora sarà il Tar a decidere, probabilmente con un epilogo al Consiglio di Stato. Intanto però c’è chi sottolinea un particolare che rende almeno l’idea di una certa confusione nel fronte del No. Il punto è che il testo contro il quale si ricorre è lo stesso da loro “indicato” nella richiesta di referendum fatta alla Cassazione, come si evince dall’ordinanza della Suprema Corte pronunciata il 6 maggio 2016.
Il 20 aprile del 2016, infatti, i senatori Crimi, De Petris (che hanno firmato il ricorso) e Centinaio presentarono una richiesta di referendum (una delle 4 complessivamente presentate) avente per oggetto proprio il testo finito sulla scheda elettorale.
Nella stessa ordinanza, poi, si dichiarava la legittimità del quesito così formulata:
Qui l'ordinanza completa: