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Referendum lavoro, la Cgil deposita 4 milioni di firme in Cassazione: cosa prevedono i quattro quesiti

La mobilitazione sindacale della Cgil è entrata nel vivo. Questa mattina una delegazione della sigla ha depositato in Cassazione 4 milioni di firme raccolte per i quattro referendum su lavoro, precariato, contratti a termine e appalti. Vediamo quali sono i quesiti e cosa succede ora.
A cura di Giulia Casula
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Oggi, una delegazione della Cgil ha consegnato in Corte di Cassazione le 4 milioni di firme raccolte per i quattro referendum popolari sul lavoro. La mobilitazione dell'organizzazione sindacale guidata dal segretario Maurizio Landini, presente per l'occasione, è entrata nel vivo.

Trasportate su tre furgoni, gli oltre mille scatoloni contenenti le firme sono stati depositati in Cassazione questa mattina. "Quattro milioni di firme di 4 milioni di cittadini e cittadine che chiedono di votare e cambiare le leggi sbagliate, che vogliono affermare la libertà nel lavoro e nella vita, libertà di non essere precari, di non essere sfruttati, di non morire sul lavoro. Una domanda molto forte, in un paese dove il 50% non va a votare", ha detto Landini.

Il segretario ha annunciato l'inizio di una "fase nuova, che è quella di portare a votare 25 milioni di persone per cambiare questo paese e rimettere al centro il lavoro, i diritti, la libertà delle persone". Sul possibile sostegno nella campagna referendaria, da parte delle altre due sigle ha aggiunto che "la Uil è tra i promotori del referendum sull'autonomia differenziata, insieme a noi scioperò nel 2014 contro il Jobs Act e ha sempre dichiarato che la lotta contro la precarietà e contro le leggi sbagliate sono parte della sua azione. Io mi aspetto che coerentemente ci sarà una presenza e un appoggio", ha concluso.

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Cosa prevedono i quattro referendum della Cgil sul lavoro: i quesiti

Sono quattro i quesiti referendari per i quali la Cgil ha consegnato in Corte di Cassazione quattro milioni di firme. Tramite i referendum l'organizzazione sindacale intendere chiedere l'abrogazione delle norme che impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi, l'eliminazione delle disposizioni sul tetto massimo di indennizzo in caso di i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, quelle sulla liberalizzazione dei contratti a termine e infine, quelle che impediscono negli appalti di estendere la responsabilità all'azienda appaltante.

Nel primo quesito, spiega la Cgil, "si interviene a ripristinare per tutti i lavoratori operanti in unità produttive con più di 15 dipendenti la normativa dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ossia la regola della reintegrazione nel posto di lavoro nei casi più gravi di licenziamento (perché del tutto privi di giusta causa o giustificato motivo, oggettivo o soggettivo). Il Jobs act ha tolto la tutela della reintegra agli assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 prevedendo, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo per assenza di giusta causa o di giustificato motivo, solo una monetizzazione". Con le "tutele crescenti si è creata una ingiustificata disparità di trattamento", sostengono.

Il secondo quesito interviene per eliminare il tetto massimo di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo. L'abrogazione  consentirebbe al lavoratore vittima di un licenziamento illegittimo di vedersi riconosciuta un'adeguata tutela sulla base di diversi criteri (età, famiglia, capacità economica dell'azienda) senza una preventiva limitazione del quantum.

Il terzo quesito mira a reintegrare l'obbligo di causale per il ricorso al contratto di lavoro a termine. Attualmente infatti, l'obbligo ricorre solo per i contratti con una durata superiore ai 12 mesi. L'intento, in questo caso, è quello di ridurre il ricorso al lavoro precario e a tempo determinato.

Il quarto quesito ha a che fare con sicurezza e appalti. La Cgil chiede di allargare la responsabilità civilistico-risarcitoria dell'imprenditore committente o appaltante, per i danni provocati da infortuni sul lavoro e subiti dai dipendenti dell'appaltatore e di ciascun sub-appaltatore, oltre la quota indennizzata dall'Inail.

Che cosa succede ora che la Cgil ha depositato le firme per i referendum

La legge prevede che i referendum abrogativi, come quelli lanciati dalla Cgil, possono essere proposti da 5 Consigli regionali, o in alternativa, da 500.000 elettori. Perché il referendum sia valido è necessario attenersi a delle procedure precise, a partire dal deposito delle firme necessarie.

In particolare, dopo la consegna delle firme, seguono una serie di controlli di legittimità da parte dell'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione che verificherà la validità e se è stato raggiunto il numero richiesto. Successivamente, spetterà alla Corte costituzionale controllare se il referendum rispetti le condizioni previste dall'articolo 75 della Costituzione, e cioè che, ad esempio, che il quesito sia formulato in maniera omogenea, chiara e semplice o che l'abrogazione non riguardi particolari categorie di leggi come quelle costituzionali.

Se le procedure sono avvenute correttamente, il referendum può essere indetto. Per essere valido è necessario però raggiungere il "quorum": alle urne si devono recare a votare almeno il 50% degli aventi diritto, indipendentemente dal risultato del referendum. Naturalmente, la proposta oggetto del quesito viene approvata se ottiene la maggioranza dei voti validi.

"La campagna per il prossimo anno è per 5 sì – ha proseguito – referendum Cgil e su autonomia differenziata fanno parte dello stesso progetto. Sono questioni molto legate", ha detto Landini annunciando il via alla raccolta firme per il referendum contro la riforma Calderoli. "In ballo c'è la libertà di esistere delle persone messa in discussione da precarietà, salari da fame, dal fatto che si muore sul lavoro, che sanità, studio e formazione sono diritti non garantiti a tutti. Sono aumentate le diseguaglianze. Il lavoro nei prossimi mesi è portare a votare 25 milioni di persone", ha concluso.

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