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Referendum, il No di Monti: “Renzi usa soldi pubblici per creare consenso elettorale”

L’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Mario Monti, in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha esposto le motivazioni che lo porteranno a votare “No” alla referendum del prossimo 4 dicembre. Su tutte, il fondatore di Scelta Civica sostiene che l’utilizzo dei soldi pubblici che fa Matteo Renzi per attrarre più consenso possibile sarebbe deleterio per l’Italia.
A cura di Charlotte Matteini
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Le fila del fronte del "No" continuano a crescere: a Forza Italia, minoranza del Pd, Sinistra Italiana, Lega Nord, Fratelli d'Italia e Movimento 5 Stelle ora si aggiunge anche l'ex fondatore di Scelta Civica e senatore a vita Mario Monti. In una lunga intervista pubblicata dal Corriere della Sera, l'ex presidente del Consiglio motiva le due ragioni e sottolinea che alla radice della sua decisione ci sarebbe soprattutto il metodo utilizzato da Renzi, ovvero cercare di attrarre consenso referendario utilizzando la leva della spesa pubblica, che Mario Monti non vede di buon occhio. "Nell’Italia di questi tre anni – malgrado l’equilibrio, la saggezza e la fermezza con cui il Presidente Napolitano ha stimolato e indirizzato il necessario processo di revisione costituzionale si sono rivitalizzate, e purtroppo trapiantate sul terreno costituzionale, alcune delle prassi più nocive che avevano caratterizzato l’Italia per molti decenni e che solo di recente, anche grazie al maggiore influsso dell’Unione europea, si era iniziato ad abbandonare, prima fra tutte quella di orientare le decisioni pubbliche alla ricerca del consenso elettorale e ora perfino referendario. Ciò viene fatto sia con oneri sul bilancio pubblico, sia rimandando interventi a favore della concorrenza e contro le rendite".

Secondo l'ex presidente del Consiglio, gli italiani dovrebbero votare secondo coscienza, dopo un dibattito sereno. Se vincesse il "No", spiega, non sparirebbero gli investitori internazionali, allo stesso modo se vincesse il "Sì" non sparirebbe la democrazia come sostengono gli avversari del fronte del "No". "ça UE, peraltro, non ha mai chiesto questa modifica della costituzione. L’Italia non rischia, come cinque anni fa, di cadere e di travolgere l’euro. Non c’è bisogno che la UE perda credibilità come arbitro, dando l’idea che se non si dà una dose aggiuntiva di flessibilità all’Italia, vincerebbero ‘i populisti’. I populismi si affrontano promuovendo crescita e occupazione, non autorizzando i governi nazionali ad utilizzare risorse delle generazioni future per avere più consenso oggi", prosegue Monti.

Nessun rischio di instabilità politica, secondo Monti, se dovesse vincere il fronte del "No". "Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza".

Inizialmente, in prima lettura nell'agosto 2014, l'ex presidente del Consiglio votò Sì alla riforma Boschi, mentre in seconda e terza lettura era assente per impegni europei. Il primo sì fu frutto di una decisione ponderata: all'epoca Mario Monti considerava essenziale non indebolire la corsa di Renzi sulle riforme economiche. "Votai sì, pur avendo varie riserve. Di questa riforma mi hanno sempre convinto la modifica del rapporto fra Stato regioni, l’abolizione del Cnel e la fine del bicameralismo perfetto. Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo".

E anche sui risparmi prodotti dalla riforma dell'impianto costituzionale, Monti ha delle riserve: "Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello, che pure si deve ridurre, per il personale della politica. È nel combinato disposto fra la costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l’opinione con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perché accettasse questo".

Il "No" di Mario Monti, quindi, non poggia sulle stesse basi ideologiche degli altri esponenti politici che compongono il variegato fronte del "No": "A me risulta impossibile dare il mio voto ad una costituzione che contiene alcune cose positive e altre negative, ma che – per essere varata – sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile – molto più dei limiti della costituzione attuale – dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico. Dire che una parziale modifica della costituzione, conseguita in un modo così costoso per il bilancio pubblico, sarà molto benefica per la crescita economica e sociale dell’Italia è, ai miei occhi, una valutazione che non posso accettare". E' decisamente tranchant il giudizio di Mario Monti, che sottolinea più volte il fatto di non poter sostenere le ragioni del Sì proprio a causa della politica del consenso attivata da Renzi per cercare di far passare la riforma alle urne. "Trovo fortemente negativo avere tenuto in piedi con l’uso del denaro pubblico queste deformazioni del rapporto degli italiani con la classe politica. Questo problema rischia solo di essere accresciuto portando alla ribalta la classe politica regionale nel nuovo senato".

"Per quanto mi riguarda – ribadisce Monti  – mi sono gradualmente convinto sempre più che i problemi dell’Italia non dipendono tanto dalla forma costituzionale e dalla legge elettorale, ma da alcuni connotati fondamentali: l’evasione fiscale, la corruzione e una classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità. È per questo che un mio Sì al referendum sarebbe un sì al modo di generare il consenso che è l’opposto di quello in cui credo".

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