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Referendum, i “Sì” ancora avanti, ma il vantaggio cala sensibilmente

Secondo gli orientamenti rilevati da Demos negli ultimi mesi. Se a febbraio i “sì” al referendum erano al 50%, mentre i “no” si attestavano sul 24%; oggi chi voterebbe in maniera affermativa per la riforma è sceso al 37%, perdendo ben tredici punti. Dall’altro lato, i “no” sono saliti al 30%. Tra i due poli, dunque, adesso la distanza è passata da 26 a 7 punti.
A cura di Claudia Torrisi
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Matteo Renzi in conferenza stampa a Bruxelles

Il referendum costituzionale del prossimo autunno, da mezzo per legittimare la riforma costituzionale si è nel tempo trasformato: inizialmente in un modo per "caratterizzare" l'azione del governo Renzi – un esecutivo "riformatore" -, poi in un meccanismo di rafforzamento del sostegno. Infine, in un voto sul presidente del Consiglio.

È la tesi di Ilvo Diamanti su Repubblica, secondo cui Renzi ha "politicizzato un referendum antipolitico. E ne ha eroso, in parte contraddetto, le ragioni che gli garantivano consenso". Nel pezzo si analizzano gli orientamenti rilevati da Demos negli ultimi mesi. Se a febbraio i "sì" al referendum erano al 50%, mentre i "no" si attestavano sul 24% e una percentuale simile si dichiaravano indecisi o poco informati; oggi chi voterebbe in maniera affermativa per la riforma è sceso al 37%, perdendo ben tredici punti. Dall'altro lato, i "no" sono saliti al 30%, insieme a coloro che preferiscono non espirmersi (33%). Tra i due poli, dunque, adesso la distanza è passata da ventisei a sette punti.

Per Diamanti "le ragioni di questo cambiamento non si possono spiegare attraverso la ‘conversione' degli elettori favorita dalla comprensione dei temi posti dal referendum. La crescita dell'incertezza segnala, piuttosto, il peso assunto dall'incomprensione. Assai maggiori appaiono, invece, a mio avviso, le ragioni ‘politiche'. Sottolineate, anzitutto, dalla distribuzione delle opinioni in base alla scelta di voto. Che riflette, in larga misura, i rapporti fra maggioranza e opposizione. In Parlamento e fra gli elettori". La maggior parte dei "sì" si ritrovano tra elettori del Pd e centristi, oltre il 60%; mentre tra Forza Italia la percentuale è del 42% – 35% per il "no". Da Movimento 5 stelle, Lega e Sinistra, invece, arriva l'opposizione più dura.

La politicizzazione del dibattito referendario ha, dunque, modificato l'atteggiamento degli elettori. Ben al di là delle critiche di merito, che hanno indotto, fino a poco tempo addietro, alcuni autorevoli opinionisti e intellettuali a dichiarare il loro sostegno al referendum, pur aggiungendo che "la riforma fa schifo". Oppure, al contrario, a schierarsi per il No, perché è una "finta riforma". Che non neutralizza il Senato, ma lo rende un corpo informe e opaco. Così, l'opposizione a Renzi e al referendum si incrociano e si rafforzano reciprocamente. Tanto più dopo le elezioni amministrative. Che hanno avuto un esito non molto positivo per il premier e per il governo. Circa 8 elettori su 10 (Atlante Politico di Demos, giugno 2016) pensano, infatti, che il PD di Renzi esca indebolito dal voto delle città.

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