Referendum, D’Uva (M5s): “Taglio dei parlamentari è battaglia del popolo, poi abbassiamo stipendi”
Una “riforma popolare e non populista”. Così Francesco D’Uva, deputato del Movimento 5 Stelle e questore della Camera, definisce la riforma costituzionale approvata dal Parlamento e che dovrà essere votata attraverso il referendum sul taglio del numero dei parlamentari del 20 e 21 settembre. Intervistato da Fanpage.it, D’Uva definisce quella per il Sì “una battaglia del popolo, voluta da tutti”. Per il deputato pentastellato in caso di Sì al referendum il “Parlamento lavorerà meglio” e dopo il voto del 20 e 21 settembre si potrà parlare anche di un altro tema, il taglio degli stipendi dei parlamentari: “L’accordo va costruito ma si può fare”, afferma. E per quanto riguarda il voto delle elezioni regionali di settembre, per D’Uva non avrà conseguenze sul governo, che dovrà “andare avanti”.
Quali sono le motivazioni per cui sostiene il Sì al referendum?
Intanto voglio dire che è una battaglia del popolo, questa non è una riforma populista ma popolare, voluta da tutti. Ci permette di fare tante cose: ci allineiamo a degli standard europei, rendiamo il Parlamento più snello e vuol dire lavorare meglio e ogni parlamentare varrà di più. Il Parlamento avrà più forza di fronte al governo. C’è un efficientamento del Parlamento e delle procedure, a cui aggiungere anche il risparmio di circa mezzo miliardo a legislatura, che permette di intervenire per altre cose. Questo è importante. Questa riforma è stata voluta dal M5s, ma non è del Movimento, è di tutti. Quasi tutte le forze politiche hanno votato a favore. Può fare soltanto bene.
Chi sostiene il No, ritiene che questa riforma riduca l’efficienza del Parlamento…
È l’esatto contrario. Sarà tanto più facile, tanto meno saranno le persone. Non bisogna esagerare ovviamente. Noi abbiamo trovato questo numero che è ottimo, in linea con gli standard europei.
E cosa risponde a chi dice che viene messo a rischio il principio della rappresentatività?
Non credo ci sia questo rischio. Questa riforma è voluta da anni, c’è un’intervista di 36 anni fa di Nilde Iotti a dimostrarlo. Come diceva proprio Iotti, oggi non c’è solo il Parlamento come nel dopoguerra, ci sono tutti gli enti locali, ci sono i consiglieri regionali e comunali e più rappresentanti. Il sistema è molto cambiato, quindi ci possiamo permettere di andare in questa direzione. Una volta, tanti anni fa, il lunedì il parlamentare riceveva i cittadini che si mettevano in fila dietro la porta. Un’abitudine ora in disuso, perché oggi è totalmente diverso, ora per parlare con gli elettori ci sono diversi metodi, anche la tecnologia aiuta.
Poi c’è il capitolo risparmi: gli oppositori di questa riforma dicono che sono irrisori. Per voi è uno dei motivi principali per cui sostenere questa riforma?
È uno dei motivi, né marginale né il principale. Tutti i motivi sono validi. Anche quello del riavvicinare le istituzioni ai cittadini, che forse è il principale. Io sono entrato in Parlamento nel 2013, quando la sfiducia nelle istituzioni era massima. In quel periodo si pensava che il problema fossero le istituzioni, ma forse erano le persone che erano nelle istituzioni. Dopo questa battaglia si può passare anche ad altre battaglie.
Per esempio quella sul taglio degli stipendi dei parlamentari: è possibile una convergenza politica sul punto?
Ben venga il taglio degli stipendi. Ma se sul taglio dei parlamentari c’era la convergenza di tutti, qua è più difficile. Noi già restituiamo parte dello stipendio, un gesto bellissimo, ma se lo diventasse in maniera strutturale, per legge o per delibera dell’ufficio di presidenza, potremmo essere ancora più vicini ai cittadini. Sugli stipendi è difficile trovare la convergenza, abbiamo provato a prendere questo argomento anche nella scorsa legislatura. Sono stati fatti dei tentativi. Credo che sia una strada più in salita, ma vediamo perché noi ci crediamo. Direi che in questo momento pensiamo al taglio dei parlamentari, dopo possiamo parlare del taglio degli stipendi. L’accordo va costruito ma si può fare.
Il 20 e 21 settembre si vota anche per le regionali: è a rischio la tenuta del governo? Ci saranno conseguenze per la maggioranza?
Come sempre e come è sempre stato un voto regionale non ha nessun tipo di conseguenze sul governo nazionale, sarebbe anche avvilente per i cittadini votare per la Regione pensando di dare un voto politico sul nazionale. E sarebbe avvilente per le Regioni in cui non si vota vedere conseguenze a livello nazionale.
Come può cambiare dopo il voto l’alleanza tra Pd e M5s?
Non vedo un nesso causa-conseguenze. Per me il governo va avanti, ci sono così tante cose che sarebbe assurdo pensare ad altro. Penso al Recovery fund. Oggi a chi attacca il governo, a chi pensa di utilizzare un voto regionale per fare male al governo, dico che in questo momento storico, in una fase di pandemia, non fa male a Giuseppe Conte ma all’Italia.
E l’alleanza tra Pd e M5s deve essere portata avanti anche a livello locale?
Non è una opinione mia, ma è un voto espresso dagli iscritti che hanno votato e hanno fatto sapere che siamo un movimento, in evoluzione. Il voto lo dimostra, quella è una possibilità, ma devono essere gli attivisti locali a decidere. Però il fatto che non ci sia più la regola che non si può fare è molto importante. Noi in pochi anni di governo abbiamo fatto molte più cose di quanto fatto in cinque anni di opposizione.
Come vede il futuro del Movimento 5 Stelle?
Ho visto che ci sono state delle dichiarazioni. Credo che ai cittadini interessino molto poco le dinamiche interne, interessa cosa facciamo per loro, non amo parlare delle dinamiche interne. Detto questo, è vero che il Movimento ha bisogno di una leadership forte, di una struttura organizzativa, però passa in secondo piano. Intanto dobbiamo concentrarci sul referendum. Poi su questo c’è un capo politico reggente, Vito Crimi, che sta facendo un ottimo lavoro, e sarà lui a decidere quale sarà il momento più opportuno. Sono certo che capirà lui stesso quale sarà il momento giusto.