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Referendum, Di Salvatore (No Triv): “I posti di lavoro si tutelano votando ‘sì'”

Secondo il costituzionalista e cofondatore del Coordinamento No Triv, pensare che bloccare le trivelle danneggi l’occupazione è “un falso problema e viene utilizzato in maniera strumentale”. Oltre al fatto che sulla questione “non è mai stato fornito uno straccio di numero”.
A cura di Claudia Torrisi
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Il governo italiano ha più volte mostrato di non essere particolarmente favorevole al referendum sulle trivelle – invitando esplicitamente i cittadini all'astensione. Ieri, durante la diretta sui social, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto di auspicare il fallimento per la consultazione del 17 aprile. Per il professor Enzo Di Salvatore, costituzionalista e tra i fondatori del Coordinamento No Triv, questa è l'ennesima prova della "volontà di boicottare il referendum". Una consultazione sulla quale, per il costituzionalista, è stata fatta troppa disinformazione: tra "falsi problemi" e polemiche strumentali.

Professore, facciamo chiarezza: per cosa si vota esattamente il 17 aprile?

Il referendum ha un contenuto chiaro e univoco, e pone un'alternativa secca all'elettore: consentire o meno che la durata delle concessioni già rilasciate entro le dodici miglia marine e dei permessi già rilasciati non abbia scadenza. Attualmente è così. Se vincesse il ‘sì' al referendum, e quindi venisse abrogata questa norma, l'elettore acconsentirebbe a mandare a scadenza naturale i permessi di ricerca e le concessioni. Vuol dire che si fotograferebbe lo stato dell'arte, la situazione che c'è al momento. Se quindi una società petrolifera dovesse avere una concessione di trent'anni e avesse già estratto per vent'anni, gliene resterebbero altri dieci. Se si trovasse in una situazione di proroga di dieci anni e avesse estratto per sei, significa che ne resterebbero quattro. Dopo di che non è possibile più né concedere altre proroghe, né niente. C'è la scadenza e basta. Questo comporta che il 18 aprile se vince il ‘sì' l'attività petrolifera o di estrazione del gas non si bloccherà subito: accadrà progressivamente, alla scandenza della concessione.

Il governo ha assunto una posizione abbastanza precisa sul referendum, giudicandolo "inutile".

Renzi dice che si tratta solo di non sprecare energia, di estrarre quello che resta e che ormai i pozzi sono stati trivellati e non ci saranno più nuove trivellazioni. Questo non è vero, per la semplice ragione che il divieto esistente riguarda il rilascio di nuove concessioni. Ma se io società petrolifera ho una concessione già rilasciata, in quella concessione posso continuare a installare piattaforme o perforare nuovi pozzi se questo è già previsto nel mio programma di sviluppo del giacimento. Esistono casi di questo tipo. Per esempio il progetto Edison nel Canale di Sicilia che vuole costruire la piattaforma Vega B, che sarà la più grande offshore nel Mediterraneo, che prevede nell'immediato la trivellazione di nuovi quattro pozzi cui se ne aggiungeranno in seguito altri otto. Questo va chiarito, perché c'è questa voce che circola che non corrisponde al vero.

L'indicazione è, comunque, quella di asternersi. Anzi, Renzi ha anche detto che spera che il referendum fallisca.

Sì, è paradossale. Mi pare che l'attenzione sia tutta sul fallimento del referendum, e questo è la prova provata che esiste questa volontà di boicottarlo. Come del resto finora è stato: basti pensare all'aver fissato la data rafficinata del 17 aprile per il referendum. Nella storia delle consultazioni referendarie della Repubblica si è andati al voto ad aprile solo due volte. E solo cinque volte si è votato in una sola giornata. Se sommi le due cose vedi che è chiaro che l'intenzione è farlo fallire.

Ma accorpare il referendum con le elezioni amministrative sarebbe stato davvero impossibile?

Sarebbe stato possibile se il Consiglio dei ministri avesse adottato un decreto legge. E avrebbe risparmiato 300 milioni di euro, che corrispondono a poco meno di quanto ogni anno le società petrolifere versano alle casse dello stato per tutto il petrolio estratto – terraferma, dodici miglia e oltre. Quindi abbiamo già bruciato un anno di royalties. In ogni caso, io personalmente sono contrario all'astensione in genere, perché non fa bene allo strumento referendum, che è uno dei pochi di democrazia diretta che abbiamo. C'è il rischio che il cittadino resti disilluso. Già ci sono polemiche sul tradimento referendum sull'acqua pubblica, se stavolta non raggiungessimo il quorum la gente potrebbe pensare che non abbia alcun senso promuovere un referendum o andare a votare. Questo alimenterebbe l'antipolitica.

Andiamo sul merito e sulle obiezioni al referendum. C'è chi parla del fatto che bloccando le trivellazioni, l'Italia sarà costretta a comprare all'estero.

Forse va fatta una precisazione, perché sento parlare spesso di "nostre risorse". Sfatiamo questo luogo comune: una risorsa energetica nel sottosuolo è un bene comune finché non la diamo in concessione. Nel momento in cui viene dato il permesso ciò che viene estratto diventa di proprietà di una società petrolifera. E noi lo compriamo. Che lo acquistiamo qui o non so dove, la sostanza non cambia da questo punto di vista. L'unica differenza è in termini di royalties che ci vengono versate, ma sono ridicole.

Le trivelle che potrebbero essere fermate se vincesse il "sì" al referendum quanto incidono sul fabbisogno energetico nazionale?

Il petrolio che estraiamo entro le 12 miglia incide per l'1% (o poco meno, l'0,8%) sul fabbisogno energetico nazionale; mentre il gas oscilla tra il 2 e il 3%. Una percentuale assolutamente ridicola che mostra come il gioco non valga la candela. Poi, comunque, si tratta di essere coerenti, e non solo da un punto di vista economico, ma anche dei rischi ambientali, che permangono. Il governo Monti nel 2012 ha esteso il divieto da 5 miglia marine a 12 miglia, e facendolo ha scritto nella relazione che le motivazioni erano "gravi ragioni di carattere ambientale". Sulla falsa riga di quel provvedimento, anche il governo Renzi si è comportato in maniera analoga, con la modifica alla legge di Stabilità che ha bloccato i 27 procedimenti che erano in corso di rilascio dei permessi. Anche lì si presuppone che ci siano state gravi ragioni ambientali. Ma, allora, se ci sono o ci sono sempre o mai.

Ma i rischi esistono?

Ormai si ragiona per slogan: "Da noi non potrebbe mai succedere un incidente". Stiamo parlando di attività a rischio di incidente rilevante. Questo è scontato. Che poi sia il minimo o il massimo è un altro discorso, ma il rischio permane. Anche perché non possiamo permetterci neppure un centesimo del danno che è accaduto nel golfo del Messico. Una cosa di questo tipo nei nostri mari, per la conformazione che hanno, davvero sarebbe un disastro immane, che coinvolgerebbe ogni altro tipo di attività economica. Immagina cosa significherebbe per tutte le attività economiche e territoriali che insistono sulla costa: turismo, pesca e quant'altro.

Un altro argomento dei contrari al referendum riguarda la perdita dei posti di lavoro. Anche alcuni sindacati si sono pronunciati in questo senso. Fermare le trivelle danneggerebbe l'occupazione?

Questo è assolutamente un falso problema e viene utilizzato in maniera strumentale. La premessa da fare è questa: le società petrolifere, le lobby, le multinazionali del petrolio non vengono in Italia per creare posti di lavoro o per contribuire al fabbisogno energetico nazionale. Vengono in Italia per estrarre ed estraggono o chiedono di poter estrarre per mero profitto. D'altro canto esercitano un'attività d'impresa. La seconda considerazione, invece, è che dal 18 aprile in poi non si perderà neanche un posto di lavoro perché bisognerà vedere quando scadono le concessioni. E queste concessioni scadranno mediamente tra 5, 10 o 15 anni. Poi bisognerebbe sapere quanti sono i lavoratori impiegati nel settore, ma questo dato non ci è possibile averlo. Quello che è certo è che le persone che lavorano direttamente in questo tipo di attività sono pochissime. Basti pensare che se avessimo realizzato uno dei più grandi progetti petroliferi in Abruzzo, e cioè Ombrina mare, questo avrebbe dato lavoro a 24 persone. Si tratta di manodopera specializzata, non stiamo parlando dei posti all'Ikea. Le multinazionali reimpiegano questi lavoratori per le loro attività in tutto il mondo. Semmai, quando si citano i posti di lavoro si parla dell'indotto, ma anche qui non si capisce neanche quali siano gli elementi che vanno a confluire nella valutazione. Va calcolata anche la mensa che apre o la ditta che deve asfaltare una strada di collegamento? Non è mai stato fornito uno straccio di numero. Io ho trovato un dato, e comunque mi sembra gonfiato. Nel 2010 secondo Nomisma energia c'erano 34 mila lavoratori tra diretto e indotto in Italia nelle piattaforme su terraferma, entro le dodici miglia e dopo. In ogni caso i numeri che si sentono in questi giorni sono assurdi. Siamo passati da 2500 posti di lavoro persi a più di 130 mila. Sono evidentemente dati gonfiati, ci dessero almeno una fonte. E poi, se proprio vogliamo dirla tutta, se si vogliono tutelare i posti di lavoro bisogna votare ‘sì'.

In che senso?

Se passa il ‘sì' si saprà esattamente quando scadranno le concessioni e si avrà tutto il tempo per reimpiegare i lavoratori dell'indotto – a quelli diretti ci pensa l'azienda. Se le concessioni non avranno scadenza, non possiamo dire cosa accadrà. I giacimenti potrebbero durare cinque anni, o dieci, chi lo sa. Sarà la stessa situazione delle raffinerie: quando alle società non converrà più estrarre inizieranno i licenziamenti. E poi c'è un'altra questione: questa norma in realtà fa sì che le concessioni non abbiano scadenza, il che potrebbe porre problemi anche dal punto di vista della legittimità. Concessioni senza scadenza in eterno non se ne sono mai viste. Ancora attendiamo la sentenza della Corte di giustizia in relazione al caso della direttiva Bolkestein sulle concessioni balneari, che noi abbiamo violato prolungando i termini. È chiaro che una concessione senza scadenza pone un problema di violazione delle regole sulla concorrenza. Quindi potrebbe tranquillamente arrivare una dichiarazione incostituzionalità della Consulta o una procedura d'infrazione Ue. Non si sa quando. Possiamo continuare a far finta di niente e poi improvvisamente subire una sentenza che produrrebbe di colpo quegli effetti che il referendum invece avrebbe in modo graduale. E allora, dov'è che sono tutelati i posti di lavoro?

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