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Reddito di inclusione, di cittadinanza, di dignità: chi ci sta prendendo in giro?

Il reddito di inclusione (messo a regime dal governo Gentiloni e dunque “rivendicato” dalla coalizione a guida PD), il reddito di cittadinanza (cavallo di battaglia del MoVimento 5 Stelle) e il reddito di dignità (proposto da Silvio Berlusconi): la battaglia per le politiche passa attraverso il tema del sostegno al reddito.
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Il tema del sostegno al reddito è tremendamente serio, con implicazioni di grande impatto sui cittadini e sull’equilibrio complessivo del sistema paese. Le possibilità che la questione restasse fuori dalle schermaglie da campagna elettorale erano pressoché nulle, anche considerando il grande impatto che gli annunci e gli slogan hanno su milioni di cittadini. Il problema che si pone però è quello di separare propaganda da proposta, illusione da possibilità concreta, utopia da fattibilità.

Proviamo ad analizzare le tre proposte presentate dai principali schieramenti che si contenderanno la vittoria alle politiche e che, sul tema del sostegno al reddito, sanno di giocare una partita importante, forse decisiva. Ovvero: il reddito di inclusione (messo a regime dal governo Gentiloni e dunque “rivendicato” dalla coalizione a guida PD), il reddito di cittadinanza (cavallo di battaglia del MoVimento 5 Stelle) e il reddito di dignità (proposto da Silvio Berlusconi ed entrato a far parte del programma del centrodestra).

Il reddito di inclusione: un problema solo di risorse?

Il reddito di inclusione, erogato dal primo gennaio 2018, è una “misura che viaggia su due binari, un beneficio economico e una componente di servizi alla persona, subordinata alla prova dei mezzi e all’adesione a "un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà”. Detto in poche parole, si tratta di un assegno di entità variabile (dai 187 ai 534 euro) che servirà a integrare il reddito delle famiglie italiane che vivono in condizione di povertà. La misura, richiesta da tempo dalla Ue, è stata fortemente voluta dal ministro Poletti ed è stata finanziata in legge di stabilità con le risorse del Fondo Povertà, che avrà una dotazione di 1,76 miliardi di euro per il 2018 e di 1,85 miliardi di euro per il 2019. I requisiti economici per ottenere il reddito di inclusione sono piuttosto stringenti:

  • un valore ISEE in corso di validità non superiore a 6 mila euro
  • un valore ISRE (l’indicatore reddituale dell’ISEE diviso la scala di equivalenza) non superiore a 3 mila euro
  • un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20 mila euro
  • un valore del patrimonio mobiliare (depositi, conti correnti) non superiore a 10 mila euro (ridotto a 8 mila euro per la coppia e a 6 mila euro per la persona sola).

Dai primi calcoli, riguarderà circa 700mila famiglie, per un costo complessivo per le casse dello Stato che sarà vicino ai 2 miliardi di euro. Questo è essenzialmente il problema principale della misura, che raggiunge poco più di un terzo delle famiglie in difficoltà, a causa della pochezza delle risorse messe in campo. Molti sono anche i dubbi sull’effettiva incidenza dei “percorsi di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa”, che dovrebbero andare a completare il progetto renziano in senso stretto.

Il punto è che Renzi ha sempre dichiarato di voler puntare sulle politiche attive, più che sul sostegno al reddito. Il reddito di inclusione è una sorta di forma ibrida, che tiene dentro anche la suggestione del “lavoro di cittadinanza”, lanciata un po’ frettolosamente da Renzi nel febbraio dello scorso anno:

Garantire uno stipendio a tutti non risponde all'articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. II reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione, serve un lavoro di cittadinanza […] Non voglio fare l'ottimista per forza, dico solo che ci sono grandi opportunità che si possono cogliere cambiando il concetto di lavoro come sinora lo abbiamo interpretato, perché non credo ai profeti di una società senza lavoro, alla jobless society, tantomeno a coloro che si rassegnano proponendo una rendita, come il reddito di cittadinanza, che dà ai giovani un messaggio sbagliato di ripiegamento su se stessi

Le politiche attive immaginate con il ReI sono modellate sul modello tedesco e presentano le stesse complessità, ma con risorse nemmeno lontanamente paragonabili. I percorsi di reinserimento, ove mai partissero con una qualche efficacia, sembrano più delle gabbie di ulteriore marginalizzazione delle persone in difficoltà, una zona grigia in cui troverebbe posto lavoro essenzialmente sottopagato e “non – realizzante”. Uscire dalla condizione di povertà resta un miraggio e l’unico obiettivo raggiungibile appare quello di una forse dignitosa sopravvivenza.

Va detto in ogni caso, che, pur con tutti i limiti, la scarsità di risorse e la confusione di cui abbiamo parlato, il reddito di inclusione è comunque la "prima forma strutturale di reddito minimo per la popolazione in età lavorativa che non abbia mezzi per condurre un livello di vita dignitoso, non sperimentale o limitata a qualche zona con carattere universale". Come e quanto il PD renziano sarà in grado di rivendicare questo (parziale) risultato è tutto da capire.

Il reddito di cittadinanza del MoVimento 5 Stelle: si può fare?

Cominciamo con una precisazione: quello che propone il MoVimento 5 Stelle tecnicamente non è un “reddito di cittadinanza” (che è una misura universalistica, che vale per tutti e non è subordinata a un accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali), ma una specie di reddito minimo garantito, una misura universale ma selettiva al tempo stesso, ovvero basata su regole uguali per tutti ma subordinata ad accertamenti sul reddito e patrimoni, improntata intorno a una soglia minima che ogni nucleo familiare dovrebbe raggiungere.

La proposta grillina mira a garantire ai beneficiari un reddito annuo netto pari a 9360 euro, dunque con un assegno mensile di 780 euro o di una cifra integrativa, nel caso in cui il beneficiario (quale unico componente di nucleo familiare) abbia già un reddito. Una soglia di questo tipo (che aumenterebbe nel caso in cui il nucleo familiare fosse composto da più persone, per il tramite di un quoziente familiare) è calibrata sulla soglia di povertà relativa determinata da Eurostat e sarebbe poi aggiornata ogni anno. Molto interessante è l'attenzione all'istruzione e alla formazione: i giovani fino a 25 anni dovranno possedere un diploma o iscriversi a scuola per ottenerlo, mentre gli altri potenziali beneficiari dovranno dare disponibilità ai centri per l'impiego e impegnarsi ad accettare proposte di lavoro congrue.

Una misura di questo tipo costerebbe circa 17 miliardi di euro secondo i calcoli del MoVimento 5 Stelle (che sostiene di aver già trovato le coperture, tra tagli di spesa, aumenti di gettito e revisione della tassazione su concessioni e gioco d'azzardo), mentre divergono le stime fatte dal presidente dell’ISTAT, che parla di 15 miliardi di euro, o calcolate da Tito Boeri, dell’INPS. Perché c’è tutta questa differenza e quanto costerebbe, davvero, il reddito di cittadinanza del MoVimento 5 Stelle?

Lo spiegano Baldini e Daveri su LaVoce.info:

La (notevole) differenza di valutazione ha varie cause. La più importante viene dal fatto che l’Istat nella sua simulazione aggiunge al reddito disponibile monetario il valore dell’affitto imputato dell’abitazione posseduta dalla famiglia, che è una stima del canone che si riceverebbe se la casa fosse data in affitto. Si tratta di un valore non trascurabile: circa il 50 per cento delle famiglie “relativamente povere” vive in case di proprietà, con un affitto imputato medio di circa 6mila euro (500 euro al mese). Il valore totale degli affitti imputati per le famiglie in povertà (sono 4,6 milioni, il 18 per cento di 25,7 milioni, il totale delle famiglie) è dunque di quasi 15 miliardi. Se togliamo questo importo dalla nostra stima, otteniamo una spesa totale molto vicina a quella dell’Istat. Ma – piccolo dettaglio – il disegno di legge non cita mai gli affitti imputati, e il criterio Eurostat, più volte richiamato nella proposta, non comprende gli affitti imputati nel calcolo del reddito disponibile. Quindi, applicando alla lettera il testo della proposta di legge, la spesa sarebbe di 29 miliardi – il dato riportato nel nostro articolo.

C’è un altro aspetto di cui tenere conto, ed è relativo al modo in cui i cittadini reagiranno all’inserimento di un reddito di cittadinanza. In poche parole, quante persone con un lavoro a bassa retribuzione “si accontenteranno” del reddito di cittadinanza? Come cambierà l’approccio al mondo del lavoro in funzione del reddito garantito dallo Stato? Si innescherà un ciclo virtuoso, in grado di far aumentare i salari, di provocare la crescita dei consumi e aumentare la fiducia dei cittadini, oppure uno vizioso, con l’esplosione delle domande per il reddito di cittadinanza, l’aumento dei costi per lo Stato e il prosciugamento delle risorse a disposizione?

Anche nel caso della proposta del MoVimento 5 Stelle si ripresenta, infine, il problema essenziale legato all’intero dibattito: ovvero quello di capire quanto una misura come il reddito di cittadinanza sia funzionale alla preservazione dell’intero sistema e sia solo “il sostituto cosmetico del diritto al lavoro”, per citare Kirchmair.

Il reddito di dignità di Berlusconi: la proposta esiste davvero?

Berlusconi ha provato a inserirsi in quello che è comunque uno dei dibattiti più vivi degli ultimi anni con una proposta a sorpresa: il reddito di dignità. A fine anno, con un paio di interviste, aveva fatto sapere di considerare necessaria una misura di sostegno al reddito: “C’è una emergenza povertà, serve un intervento drastico, sul modello della proposta di Milton Friedman. Lui la chiamava ‘imposta negativa sul reddito', io lo chiamo Reddito di dignità”. Non c’è ancora un testo di cui discutere, ma dalle parole di Berlusconi è possibile immaginare che si tratti di una misura molto simile, anche nelle cifre, alla proposta grillina: “Chi si trova sotto una certa soglia di reddito, potrebbe essere di 1000 euro al mese da aumentare di un tot per ciascun figlio a carico, non solo bisognerebbe non pagasse le tasse, ma lo Stato dovrà versare a lui la somma necessaria per arrivare ai livelli di dignità garantita da Istat. Una somma che può variare, a seconda della zona del Paese in cui la persona vive”.

La definizione è poi sparita dal programma condiviso approvato anche da Lega e Fratelli d’Italia, lasciando il posto a un ancor più generico “grande Piano di sostegno ai cittadini italiani in condizione di estrema indigenza, allo scopo di ridare loro dignità economica” e “azzerare la povertà assoluta”. Non c'è altro, non un dato, non una simulazione, non una cifra.

Gli economisti de LaVoce.info hanno provato a ragionare sulle "intenzioni" di Berlusconi, provando a interpretare le sue dichiarazioni. Se il Cavaliere intende far raggiungere i mille euro a chiunque non superi tale soglia mensile, allora la misura costerebbe 98,5 miliardi di euro, cifra che scenderebbe a 77 miliardi togliendo le detrazioni.

Se la platea fosse invece calibrata sulle famiglie, ci avvicineremmo alla proposta del M5s (“la differenza sta nel fatto che il leader di Forza Italia sceglie come obiettivo la povertà assoluta, mentre la proposta dei Cinquestelle guarda alla povertà relativa”), con un costo totale di circa 29 miliardi di euro. Da dove arriverebbero questi soldi, Berlusconi non lo dice.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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