Reddito di cittadinanza, diminuiscono i fondi: come cambia l’assegno
Il reddito di cittadinanza partirà a marzo, assicura il governo. Nonostante il taglio dei fondi stanziati dalla legge di Bilancio per la misura voluta dal Movimento 5 Stelle. Le risorse passano da 9 miliardi a 6,1 per il 2019, per andare incontro ai tagli chiesti da Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione. Le pensioni di cittadinanza, invece, partiranno da febbraio e non più da gennaio come inizialmente previsto. Per il vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, prevale comunque l'ottimismo: “Reddito di cittadinanza e quota 100 ci saranno nei modi e tempi già noti”, assicurava questa notte, intercettato dall’Ansa. Il reddito, quindi, passa da 9 a 6,1 miliardi. Un taglio, secondo il governo, che si spiega grazie a due fattori: da una parte il fatto che la misura partirà a marzo e non a inizio anno, prevedendo quindi tre mesi in meno; dall’altra la previsione che ci sarà un 10% dei potenziali beneficiari che non farà domanda e non accederà quindi all’assegno.
Ai 6,1 miliardi se ne aggiunge un altro per i centri per l’impiego, così come inizialmente previsto. Il fondo per i centri scenderà nel 2020 e 2021, quando saranno sufficienti 300 milioni per pagare gli stipendi dei nuovi assunti. Invece l’impatto del reddito salirà, nei prossimi anni, a 8,1 miliardi, da utilizzare per l’assegno per tutti i 12 mesi dell’anno.
I nuovi conti e il nuovo assegno
L’importo dell’assegno, però, potrebbe essere inferiore a quello stimato di 780 euro al mese. La Repubblica fornisce i calcoli fatti dall’Osservatorio Cpi, diretto da Carlo Cottarelli. Giampaolo Galli, vicedirettore dell’Osservatorio, spiega: “La prima incongruenza è nel fatto che per mesi, in campagna elettorale e anche dopo la vittoria, i 5 Stelle hanno parlato di un costo complessivo per il reddito di 17 miliardi. Poi di colpo, al momento di inserirlo nella manovra prima versione, lo stanziamento è stato ridotto a 9 miliardi e lì è rimasto fermo per settimane”. Già questo, secondo Galli, sarebbe sufficiente a far riflettere sulle cifre e sull’importo dell’assegno.
Su queste cifre l’Osservatorio ha fatto “una banale operazione aritmetica. Intanto ai nove miliardi ne andava tolto almeno uno per la riforma dei centri per l’impiego. Gli 8 miliardi rimasti, divisi per 6 milioni, facevano 111 euro a testa al mese per dodici mesi”. A cui vanno tolti i soldi necessari per la stampa delle tessere, per il software e per il training. Inoltre, con le nuove riduzioni arriviamo a una cifra ben diversa, ovvero 80 euro a testa per ogni beneficiario. Che si alzerebbe a poco più di 100 euro a testa, di media, se la platea sarà di 5 milioni di persone (come annunciato dal governo) e non di 6. Galli spiega ancora: “Con le risorse disponibili, se vogliamo intervenire sulla povertà assoluta, cioè attribuendo 780 euro a chi parte da zero, dopo i primi 850mila beneficiari i soldi erano già finiti nella prima versione della manovra, livello che scende ulteriormente a 700mila nella versione riveduta e ridotta post-accordo”.