Reddito di cittadinanza, come funziona dopo la revisione: chi sono gli esclusi
Con la revisione al Reddito di cittadinanza introdotta dalla manovra di bilancio, gli occupabili percettori del beneficio, lo perderanno tra 8 mesi. Secondo la bozza la misura non cambierà invece per i nuclei in cui vi siano persone con disabilità, minorenni o persone con 60 anni di età.
Poi dal 2024 ci sarà la sostituzione integrale del Reddito, che quindi cambierà nome, e sarà destinato solo a fragili e over 60. Con le modifiche si prevede un risparmio di 743 milioni per il 2023, cioè meno di un decimo della spesa complessiva, pari a 8 miliardi.
Il governo ha optato per un anno di cuscinetto: coloro che sono abili al lavoro e hanno tra i 18 e i 59 anni avranno un anno di tempo per trovare un lavoro e nel frattempo seguiranno programmi di formazione o di riqualificazione professionale, a partire dal 1 gennaio 2023. Chi non parteciperà alla formazione perderà il diritto all'assegno, così come chi rifiuterà anche una sola offerta di lavoro congrua (attualmente sono due, nel 2019 erano tre).
La revisione del Reddito di cittadinanza "non è certamente disattenzione nei confronti di chi si trova in condizione di difficoltà", ha detto la ministra del Lavoro Marina Calderone, a Corriere.it. "Si è separata la platea dei soggetti che non sono in condizione di lavorare: l'intervento non riguarda le famiglie che hanno al loro interno soggetti disabili o minori che hanno necessità di una protezione ulteriore. L'attenzione è nei confronti della platea di soggetti tra i 18 e i 59 anni, su cui bisogna intervenire per fare delle azioni che siano coerenti con la sostenibilità. Bisogna fare di tutto – ha aggiunto la ministra – per riaccompagnare al lavoro quante più persone possibili. Non ci possiamo permettere di lasciare fuori una generazione di giovani".
Il sottosegretario Claudio Durigon aveva avanzato una proposta più articolata per rimodulare la misura, che prevedeva tempi più lunghi prima della perdita del sussidio. Secondo il membro del governo comunque saranno 400mila le presone che perderanno l'assegno dopo la fine del periodo ponte di 8 mesi.
"L'esigenza – ha detto l'esponente della Lega ad "Avvenire"- era comunque quella di mettere un termine al Reddito per le persone occupabili. E va chiarito che parliamo di una platea che è molto più circoscritta rispetto a quella che si dice. Non si tratta di 650 mila persone, ma di circa 400 mila. Non tutti coloro che sono potenzialmente occupabili perderanno l'assegno: per rientrare in questa platea bisogna avere dai 18 ai 59 anni, non avere disabili in famiglia e una serie di caratteristiche che permettano di essere ricollocati al lavoro".
"La nostra – ha aggiunto – è una scelta che deriva non dalla necessità di recuperare somme, ma da quella di cambiare una cultura intervenendo sulla formula del Reddito di cittadinanza dove ha fallito, cioè nel ricollocamento delle persone, evitando che si adagino in una prospettiva di Reddito a vita. Tutti gli strumenti di sostegno hanno un termine e un decalage. Così è maturata una mediazione per non allungare troppo i tempi, ma senza abbassare l'assegno e dando comunque uno scivolo di 8 mesi perché si cominci un nuovo percorso". Poi se ci sarà necessità di modificare qualcosa in questi meccanismi, "il Parlamento potrà intervenire".
Il punto però è che come ha spiegato a la Repubblica Raffaele Tangorra, commissario dell'Anpal, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, solo il 13% dei percettori del Reddito di cittadinanza presi in carico dai centri per l'impiego e inseriti nel programma Gol sono pronti a lavorare.
"Una percentuale che invece sale al 74% tra chi percepisce la Naspi, il sussidio di disoccupazione – ha aggiunto – e ciò significa che ha un'estrema difficoltà a collocarsi e necessita di una vera riqualificazione. E questo perché è molto lontano dal mondo del lavoro: tre quarti non lavorano da oltre tre anni o non hanno mai lavorato. Spesso si tratta di persone che non sanno leggere né far di conto".
Gli occupabili sono circa 833mila, di cui 173mila hanno un impiego (stime Inps). "Per noi ‘occupabili' significa che hanno lavorato almeno un giorno negli ultimi due anni o sono stati almeno un giorno in Naspi. Oppure se hanno un membro in famiglia che ha lavorato almeno un giorno nell'ultimo biennio. E poi tutti i giovani. Ma la definizione del governo sembra diversa: si escludono solo le famiglie con figli minori, disabili, over 60. Tutti gli altri saranno inseriti in percorsi di formazione, anche se oggi sono in carico ai servizi sociali", ha sottolineato Tangorra.