Da giorni il dibattito politico ruota attorno a Forza Italia e alle possibili convergenze con la maggioranza che sostiene il governo guidato da Giuseppe Conte. Che le voci e i retroscena siano più concreti del solito è evidente dalle reazioni interne ai partiti coinvolti, oltre che dai primi movimenti di deputati e senatori (i tre esponenti di FI passati alla Lega potrebbero a breve essere seguiti da altri colleghi), tuttavia parlare di ingresso nella maggioranza dei forzisti appare piuttosto forzato, o almeno prematuro. Esistono questioni di fondo, tra cui la consistenza numerica della maggioranza e la solidità dei rapporti tra i partiti che la compongono, che non vanno però confuse con la possibilità che Conte possa cadere ed essere sostituito da un tecnico sostenuto da una coalizione più ampia. Detto in altre parole: il punto non è se Conte andrà avanti, ma come lo farà, con che forza e legittimazione.
È noto che da tempo il Partito Democratico chieda un riequilibrio nel governo, in considerazione tanto degli ultimi risultati elettorali quanto delle difficoltà interne del Movimento 5 Stelle, che si riflettono anche nell'inefficacia dell'azione di alcuni ministri. I democratici mostrano insofferenza anche rispetto al decisionismo di Conte, accusato più o meno esplicitamente di "decidere da solo" e di mettere spesso gli azionisti della maggioranza di fronte al fatto compiuto, in particolare per quanto concerne le scelte strategiche sulla Covid-19 e l'interlocuzione con Regioni e Comuni. D'altro canto, oltre che sulla fiducia del Colle, Conte può contare sull'appoggio della stragrande maggioranza dei parlamentari 5 Stelle, schiacciati su una posizione governista nella constatazione della frattura profonda con l'ala movimentista (emersa durante gli stati generali del Movimento, pur tra mille distinguo) e dell'assenza di prospettive diverse nel medio e lungo termine. A blindare la posizione del Presidente del Consiglio è soprattutto la pressoché totale assenza di alternative, specie in un momento in cui nessuna forza politica potrebbe assumersi la responsabilità di aprire una crisi che si tradurrebbe in un vero e proprio salto nel buio.
Dunque, posto che la maggioranza non cambierà, che la poltrona di Chigi è salda e che di rimpasto non si parlerà che tra qualche mese, la discussione su Berlusconi acquista un senso solo se letta alla luce di ciò che accadrà nelle prossime settimane.
L'apertura di Forza Italia allo scostamento di bilancio è un trial balloon: il Cavaliere vuole ancora un ruolo da protagonista (ha anche delle piccole "richieste", a quanto pare) e sta sondando il terreno per capire quale possa essere la reazione dei suoi e dei contiani, certo dell'accondiscendenza del PD, che ha tutto l'interesse ad allargare il tavolo per la gestione della crisi. Il Partito Democratico, infatti, non ha alcuna intenzione di assistere a una replica di Villa Pamphilj, quando Conte si intestò la paternità esclusiva del piano per la ripartenza economica del Paese. Soprattutto perché, salvo clamorose sorprese, questa volta i soldi dovrebbero esserci davvero e il lavoro fatto dal ministro Amendola ha evidenziato la mole di richieste e necessità tanto dei ministeri quanto dei comparti produttivi. I ritardi nella legge di bilancio e alcuni errori marchiani nella gestione della seconda ondata, inoltre, hanno innervosito i dirigenti dem, poco coinvolti in una fase così delicata.
Stavolta i democratici vogliono essere della partita e coinvolgere l'opposizione "moderata" ha il duplice effetto di diluire il peso di Conte e di legittimare la richiesta di una cabina di regia politica per la gestione dei fondi del Recovery Fund. Non in subordine, la scelta di dialogare con Berlusconi ha anche una copertura comunicativa: le divisioni dei 5 Stelle, la litigiosità degli altri azionisti della maggioranza, i numeri risicati in Parlamento e le indicazioni del Colle consigliano un graduale allargamento della base di consenso delle iniziative del Governo. Del resto, si sussurra con sempre maggiore insistenza, FI e grillini hanno votato assieme anche Von der Leyen alla Commissione Europea: un asse di questo tipo sarebbe perfettamente coerente.
Insomma, B non entrerà in maggioranza, ma sarà il convitato di pietra ai tavoli dei prossimi giorni.