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Recessione, pandemia e conflitto ucraino: lezioni apprese e nuove sfide

L’aggiornamento del Fondo Monetario Internazionale deve spingerci a riflessioni di senso non solo sull’andamento dell’economia, ma anche sulle sfide a lungo termine che ci attendono.
Contributo di Pasquale Lucio Scandizzo
Direttore scientifico OpenEconomics
A cura di Redazione
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Durante questa lunga e calda estate, l'aria è carica di tensione e aspettativa. Il sole splende alto, ma è l'incertezza che si fa sentire. La guerra in Ucraina è una realtà costante, influenzando le vite di chi è direttamente coinvolto e creando ripercussioni economiche globali. La preoccupazione per un possibile ritorno del COVID-19 rimane nell'aria, e l'idea di un nuovo picco pandemico preoccupa le comunità in tutto il mondo.

L'aggiornamento del Fondo Monetario Internazionale (FMI) del luglio scorso suggeriva una situazione economica mondiale con segnali ambigui e in costante oscillazione. Negli Stati Uniti, dopo aver registrato una crescita del 2,1% nel 2022, l’FMI prevedeva una riduzione all'1,8% nel 2023, e poi ulteriormente all'1,0% nel 2024. Ma le ultime notizie sembrano più incoraggianti, con una forte discesa dell’inflazione, oramai intorno al 3%, e una sostanziale tenuta del mercato del lavoro, con centinaia di migliaia di nuovi occupati.  Nel cuore dell'Europa, le previsioni economiche offrono lo spettacolo di una danza di numeri. L'Unione Europea ha visto una crescita del 3,7% nel 2022, ma le previsioni si abbassano all'1,0% per il 2023, per poi risollevarsi all'1,7% nel 2024. Questa previsione per il 2023 è stata leggermente corretta al rialzo dall'ultimo rapporto. Nell'area dell’euro, la crescita sembra subire un destino simile: da un robusto 3,5% nel 2022 a un modesto 0,9% nel 2023, per poi risalire al 1,5% l'anno successivo. Mentre Italia e Spagna hanno registrato un rinvigorimento grazie al turismo e ai servizi, la Germania mostra una debolezza nel settore manifatturiero, portando le previsioni in discesa. L'Italia, dopo un'impennata al 7,0% nel 2021, mostra segni di flessione: un 3,7% nel 2022, seguito da un previsto 1,1% nel 2023.

L'economia globale si muove su un terreno instabile, cercando il proprio equilibrio. A tratti sembra barcollare, come un funambolo sul filo teso, che ogni tanto si riprende da una possibile caduta. Ma appena si riequilibra, un’altra oscillazione imprevista del filo lo fa vacillare di nuovo. La natura stessa sembra voler partecipare a questa danza caotica. Temporali violenti, ondate di calore e fenomeni climatici estremi diventano sempre più frequenti, come monito di un pianeta che chiede rispetto.

Tra le buone notizie, la crescita dell’occupazione e la caduta dell’inflazione, entrambe maggiori del previsto, sembrano portare un barlume di ottimismo, ma spesso nuove sfide economiche riportano la cautela. Il cambiamento climatico, con fenomeni sempre più intensi, solleva preoccupazioni su come potrebbe influenzare il nostro mondo. Le tensioni internazionali sono palpabili, con paesi che reagiscono alle nuove dinamiche con la minaccia di una frammentazione crescente che potrebbe ridurre drammaticamente i benefici dell’integrazione globale.

Tra le pieghe dell’incertezza, brilla la luce dell'innovazione. Tecnologie che sembravano appartenere alla fantascienza, dalla intelligenza artificiale alla biotecnologia, stanno prendendo forma a ritmo accelerato, portando con sé promesse di rivoluzioni paragonabili a quelle dei tempi della rivoluzione industriale. E la transizione verso un modello più sostenibile offre una luce di speranza: l'opportunità di costruire un mondo migliore, più verde, più equo.

L’incertezza che pervade il panorama economico non riguarda però solo la nostra incapacità di previsione, ma anche, più in generale, l’abilità degli economisti di spiegare retroattivamente gli avvenimenti, aumentando lo stock di conoscenze utili per il futuro. Il problema che la globalizzazione sembra proporci in questa fase è quindi anche una sfida ai paradigmi tradizionali di meccanismi economici che si ritenevano noti, quali l’inflazione e l’occupazione, la cui dinamica sembra sfatare non solo antichi pregiudizi, ma anche recenti sviluppi.

Parliamo dell'inflazione

Iniziamo parlando dell'inflazione. Questo fenomeno, che sembra presentare una intrinseca, ma imprevedibile, periodicità, può essere descritto in modo semplificato come risultato di un surplus di domanda, una carenza di offerta o una combinazione di entrambi. Tuttavia, la dinamica sottostante si sviluppa attraverso un ciclo continuo tra aspettative e reazioni comportamentali. Una delle manifestazioni di questo ciclo, ma non solo, è la spirale tra prezzi e salari. Questa nasce dal tentativo continuo, ma alla lunga insostenibile, di chiedere incrementi salariali che non solo bilancino le precedenti variazioni dei prezzi, ma che tentino anche di anticipare le future aspettative, realistiche o meno, dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Altre spirali sono state osservate e concepibili e, nella nostra esperienza attuale, un circolo vizioso potrebbe crearsi tra il tentativo di mantenere margini elevati da parte delle imprese, accoppiato alle aspettative inflazionistiche degli operatori economici inseriti in catene di valore estese e interconnesse su scala mondiale. Questo genere di inflazione può essere considerato un sottoprodotto della globalizzazione.

La caratteristica distintiva dell'inflazione in un contesto globalizzato è la sua manifestazione veloce. Se in una fase della catena di valore si verifica un aumento dei prezzi, tale variazione influisce immediatamente sulle fasi successive. Questa rapida propagazione ricorda il concetto della "catena keynesiana", dove una spesa iniziale porta ad ulteriori spese, creando un effetto domino. Analogamente, un incremento nel prezzo di un bene o servizio porta ad un aumento dei costi per il settore che lo utilizza come input produttivo, influenzando a sua volta il prezzo del prodotto intermedio che esso produce e, di conseguenza, i costi del prossimo settore nella catena. Dato che le catene di valore oggi sono intrinsecamente globali, gli impatti di queste fluttuazioni di prezzo sono in grado di oltrepassare i confini in tempi brevi. Ma con una caratteristica positiva: proprio come l'inflazione può diffondersi a ritmo sostenuto, una decelerazione o stabilizzazione dei prezzi in una parte della catena può indurre velocemente alla disinflazione nelle fasi successive. Questa velocità impedisce anche che le aspettative di aumento dei prezzi diventino profezie che si autoavverano, poiché non c'è abbastanza tempo perché tali aspettative si radichino e alimentino ulteriormente l'inflazione. In sintesi, la velocità che consente l'espansione rapida dell'inflazione può, al contempo, agevolare una stabilizzazione altrettanto celere e prevenire cicli inflazionistici auto-alimentanti.

Il mercato del lavoro e l'occupazione

Esaminiamo l'aspetto dell'occupazione. Più di quanto ci si attendeva, il mercato del lavoro ha sperimentato un'impennata successivamente alla riduzione delle restrizioni e ai segnali di fine della pandemia. Tuttavia, nonostante le politiche di disinflazione attuate dalle banche centrali, questo slancio non si è esaurito. Gli sforzi delle banche centrali di arginare l'inflazione attraverso una recessione controllata hanno trovato resistenza nella sorprendente robustezza della domanda di lavoro. Anche se l'inflazione è scesa, l'impatto sulla disoccupazione è rimasto contenuto e non ha portato a una vera e propria recessione. Come possiamo spiegarlo?

Una delle ragioni risiede nella velocità con cui i segnali di prezzo si trasmettono nell'attuale economia globalizzata. Il potere contrattuale dei lavoratori tende ad essere specifico per ogni paese o, in alcuni casi, per ogni regione all'interno di un paese. D'altro canto, le catene di valore sono reti globali che mettono in competizione produttori di tutto il mondo. Di conseguenza, i salari e il livello di occupazione sono meno reattivi alle variazioni dei prezzi rispetto al passato. I tradizionali cicli inflazionistici legati al rapporto tra prezzi e salari non hanno quindi l'opportunità di instaurarsi se le dinamiche di inflazione e disinflazione si manifestano su vasta scala geografica ma, allo stesso tempo, sono condensate in periodi temporali brevi.

Prima della pandemia, la teoria economica dominante era incentrata sulle dinamiche delle economie nazionali. La teoria del commercio internazionale considerava i flussi internazionali di beni e servizi una conseguenza delle politiche nazionali e delle loro interazioni, più che dinamiche autonome a livello mondiale. Questo è evidente nel concetto di tasso naturale di disoccupazione, che postula l'esistenza di un tasso di disoccupazione “naturale” ossia una sorta di tasso di equilibrio per ogni paese, al quale né l'inflazione né la disoccupazione tenderebbero a variare.

Nell'era delle catene di valore globali, il tradizionale concetto di tasso naturale di disoccupazione sembra aver perso parte della sua rilevanza. In un contesto economico così strettamente intrecciato, si potrebbe pensare ad un tasso naturale di disoccupazione che trascende i limiti di un singolo paese, potenzialmente includendo vasti territori o l'intera economia mondiale. Anche se, in certe situazioni, il tasso di disoccupazione di un paese potrebbe mantenere una certa stabilità, esso può variare in risposta alle fluttuazioni globali. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la flessibilità offerta dalle catene di valore globali non riduce questa tendenza, che invece spiega la sorprendente resilienza rivelata dal sistema economico globale. Mentre si può pensare che il tasso di interesse naturale possa essere mantenuto costante all’interno di un singolo paese dalla risposta dei mercati del lavoro, essenzialmente locali, ciò è meno plausibile nel caso del sistema internazionale dove la mobilità del lavoro è molto più limitata e inferiore a quella delle imprese. Un aumento dei tassi di interesse per ridurre l’inflazione, soprattutto se coordinato a livello mondiale dalle azioni delle banche centrali più importanti, può essere perciò più prontamente assorbito da una riduzione dei prezzi lungo le filiere internazionali, piuttosto che da un aumento della disoccupazione locale. Allo stesso tempo, un aumento della disoccupazione in un determinato paese in risposta a un aumento dei tassi di interesse potrebbe essere parzialmente compensato dall’aumento della produzione in altri paesi, attenuando l'impatto a scala mondiale.

Gli scenari futuri

Veniamo ora alle sfide di lungo termine. Se la insospettata resilienza del sistema globale è una buona notizia, la sua maggiore vulnerabilità alle minacce di lungo termine è molto meno rassicurante. Il sistema di mercato appare più robusto ed efficiente a livello globale, ma, al tempo stesso, la sua governance è molto più problematica. Questo perché non solo mancano istituzioni di governo globale, ma anche perché le interdipendenze e i possibili conflitti tra obiettivi nazionali e obiettivi globali creano un gigantesco problema di coordinamento molto difficile da affrontare. La incapacità di affrontare le sfide del cambiamento climatico è un esempio di questo problema, ma, più in generale, si può dire che l'attuale sistema globale è il risultato di processi di integrazione economica e culturale spontanei e spesso caotici. Di conseguenza, l'economia mondiale appare sospesa tra forze antagoniste che rischiano di frantumarla in entità disomogenee, con conseguenze potenzialmente distruttive. L'interconnessione tra i paesi rende sempre più difficile per loro agire in modo indipendente, ma è anche fonte di tensioni e conflitti. Le istituzioni internazionali esistenti sono spesso deboli e inefficaci, e non sembrano in grado di far fronte alle sfide del mondo globalizzato. La governance geopolitica del sistema è anche preoccupante, perché il suo fallimento può avere conseguenze devastanti che vanno molto al di là dei suoi effetti economici.

Nonostante le sfide, c'è motivo di guardare al futuro con una certa dose di ottimismo. Nel corso di soli 15 anni, il sistema globale ha dovuto confrontarsi con tre crisi di portata e impatto inaspettati, ovvero la grande recessione finanziaria, la pandemia e il conflitto ucraino, oltre ad altri scontri di scala minore, ma non ha mostrato segni di cedimento. Anzi, pur di fronte alle vulnerabilità delle intricate catene di approvvigionamento, all'inefficienza di molte amministrazioni governative e alla fragilità delle istituzioni internazionali, il sistema ha dimostrato un'innegabile capacità di resistenza, non solo fronteggiando i momenti più critici, ma anche rimettendosi in moto una volta superate le avversità. È ragionevole pensare che queste tre crisi siano state il frutto di circostanze impreviste e non intrinsecamente correlate. Pertanto, potrebbe essere meno probabile che altre crisi di tale magnitudine emergano nel prossimo futuro, offrendo la speranza di una maggiore stabilità rispetto a quanto visto negli anni recenti. Inoltre, le crisi ci hanno insegnato molto e forse siamo più consapevoli e preparati per affrontare le sfide future.

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