Quando ieri sera ho visto su Instagram le storie con cui Aurora Leone, e i The Jackal, denunciavano il trattamento subito prima della partita del cuore, che si terrà questa sera, mi aspettavo fosse uno scherzo: scorrevo i post aspettando la rivelazione di un qualche intento ironico nell’invito ad alzarsi dal tavolo degli atleti-cantanti, invece da diverse ore continua a risuonarmi in testa la frase, serissima, "Da quando in qua le donne giocano?".
Nel 2021 non è una frase accettabile. E non solo perché trattare male, disdegnare, una persona invitata a partecipare a un evento, benefico prima che sportivo, è una mancanza di rispetto oltre che un atto discriminatorio, ma anche perché la realtà calcistica è cambiata, negli ultimi anni, nonostante gli ostacoli.
Sono passati diversi anni da quando Tavecchio spiegava che le donne nel calcio erano considerate “un soggetto handicappato rispetto al maschio” o da quando Belloli della Lega Nazionale Dilettanti veniva inibito per frasi omofobiche e sessiste contro il calcio femminile. Ne sono passati due, di anni, da quando la nazionale italiana femminile è arrivata ai quarti di finale ai mondiali di calcio, intrattenendo gli spettatori in diretta Rai. Il capitano di quella nazionale, Sara Gama, è da qualche mese vicepresidente dell’Associazione Italiana Calciatori: rappresenta tutti i professionisti che giocano a calcio, femmine e maschi.
Non solo. Dopo anni di campagne di sensibilizzazione, è stata finalmente approvata la riforma del lavoro sportivo, che permette anche alle donne di ottenere tutele come atlete, come professioniste dello sport, calcio compreso. E, anche volendo escludere dal conto i campionati dilettantistici di altre federazioni, che pure intercettano impegno e passione di molte calciatrici, già due stagioni fa erano ben 25.896 le atlete tesserate alla FIGC.
E allora da quando in qua le donne giocano? Io gioco da cinque anni, cioè da quando ho deciso che i luoghi comuni sul calcio e i giudizi sulle femmine che ci giocano non avrebbero dovuto impedirmi di praticare lo sport che amo, di divertirmi, fare gruppo, sfogare le tensioni scattando sulla fascia e calciando un pallone. Le ragazze, le donne, sono in tribuna se vogliono starci, ma sono pure in palestra, in università, negli spogliatoi, in ufficio, sul campo, invisibili e inaspettate. È arrivato il momento di prendere palla e scartare: è l’unico modo per avanzare.