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Pensioni

Quota 103, come potrebbero cambiare le pensioni nel 2023 con la nuova proposta del governo Meloni

La nuova quota 103 dovrebbe sostituire quota 102. Nel 2023 potrà lasciare il lavoro chi ha 62 anni di età e 41 anni di contributi, se le cose non cambieranno nei lavori di approvazione della legge di bilancio. Dovrebbero essere prorogati anche Ape sociale e Opzione donna.
A cura di Luca Pons
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Nel 2023, la ‘quota 102' che ha regolato le pensioni quest'anno non dovrebbe più essere in vigore. Chi arriva entro il 31 dicembre 2022 ad avere almeno 64 anni di età e 38 anni di contributi versati, potrà andare in pensione. Le cose, invece, dovrebbero cambiare con la nuova ‘quota 103‘ che la maggioranza ha detto di voler inserire nella legge di bilancio.

Pensioni, cosa cambierebbe a gennaio con quota 103

Dal 2023, se la quota 103 entrerà in vigore per come è stata presentata finora, si potrà lasciare il lavoro ad almeno 62 anni di età, con almeno 41 anni di contributi. A essere coinvolti sarebbero circa 48mila lavoratori, la spesa prevista è di 750 milioni di euro. Non è ancora stato definito se la nuova quota scatterà subito, cioè a partire dal 1° gennaio, o se le risorse a disposizione del governo permetteranno di farla partire solo dal 1° aprile 2023.

Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, l'ha definita una "quota ponte". L'idea, infatti, è che questa nuova quota 103 resti in vigore solo per il 2023, e dall'anno prossimo si proceda a una riforma più strutturale.

In questo modo, il ritorno della riforma Fornero viene rimandato di un anno, al 1° gennaio 2024. Per il 2023 dovrebbero essere prorogati Ape sociale, un anticipo pensionistico 63 anni di età per lavoratori in difficoltà, e Opzione donna (per le lavoratrici con 35 anni di contributi, all'età di 58 anni per le dipendenti e di 59 anni per le autonome, con un taglio rispetto alla pensione di vecchiaia).

La Lega ha sottolineato che si tratta solo di un primo passo. L'obiettivo dichiarato in campagna elettorale dal partito di Matteo Salvini era arrivare alla ‘quota 41‘, cioè a poter mandare in pensione chiunque abbia versato i contributi per 41 anni, a prescindere dall'età anagrafica. Una misura che, secondo stime dello stesso Claudio Durigon, costerebbe 4 miliardi di euro per il primo anno e crescerebbe fino a quasi 10 miliardi nel 2029.

Nel 2023, quindi, dovrebbe poter andare in pensione chi avrà compiuto almeno 62 anni (due in meno rispetto alla norma in vigore nel 2022) e avrà dichiarato almeno 41 anni di contributi (tre in più rispetto al 2022). Questo è quanto annunciato dagli esponenti del governo, anche se la legge di bilancio dovrà passare anche dall'approvazione del Parlamento, che potrebbe decidere di modificarne alcuni aspetti.

Uno dei modi in cui il governo potrebbe trovare le risorse per passare a quota 103 è un intervento sulle indicizzazioni delle pensioni più alte. Ogni anno, le pensioni vengono aumentate per essere in pari con l'andamento dell'inflazione. Quest'anno, la previsione (che potrebbe essere aggiornata al rialzo) è di alzarle del 7,3%, a causa dell'inflazione molto alta.

Per legge, l'aumento è il più alto possibile (quindi in questo caso +7,3%) per tutte le pensioni fino a quattro volte il minimo. Poi, per quelle che sono tra 4 e 5 volte il minimo l'aumento scende al 90% del totale (quindi quest'anno l'aumento sarebbe del +6,57%, che è il 90% di 7,3) e sopra questa soglia il rialzo è il 75% del totale (quindi nel 2023 sarebbe al +5,475%).

Il governo, però, potrebbe decidere di alzare meno le pensioni più alte, e ricavare da questo taglio alcune risorse. Nel 2011, il governo Monti decise di bloccare del tutto la rivalutazione delle pensioni in base all'inflazioni, ma l'intervento del governo Meloni sarebbe sicuramente più limitato.

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