Quinta fumata nera per l'elezione del presidente della Repubblica. Questa volta, però, rischia di bruciare tutto. Dopo giorni di trattative e colloqui tra i leader dei partiti che non hanno portato a nulla, il centrodestra ha deciso di provare a forzare un’operazione in Aula, annunciando il voto alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Il tutto nonostante il centrosinistra avesse già detto che non avrebbe accettato candidature di parte, avvertendo che così si stesse mettendo a rischio la maggioranza di governo.
Movimento Cinque Stelle, Partito democratico e Liberi e Uguali si sono quindi astenuti dalla votazione, la quinta. Mentre il centrodestra è andato compatto su Casellati. Almeno in teoria, visto che poi i voti effettivi sono stati un centinaio in meno di quelli previsti. La presidente del Senato, infatti, ha ricevuto 382 preferenze: ma Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sulla carta da soli potevano contare su oltre 400 voti, a cui si sarebbero dovuti aggiungere quelli dei partiti centristi come Coraggio Italia o l’UdC, che sono alleati del centrodestra. I voti andati a Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, rispettivamente numero uno e due di Forza Italia (il partito di cui fa parte Casellati) lo dimostrano: la coalizione non è affatto unita come vuole far credere. I
nsomma, il blitz non è riuscito e ora, a pochi minuti dalla sesta votazione un accordo sembra ancora più difficile da raggiungere. Il centrodestra dovrà tornare al tavolo delle trattative con una rinnovata consapevolezza di non avere né numeri a suo a favore né il coltello dalla parte del manico. Il centrosinistra lo farà fidandosi ancora meno degli avversari. E alla fine, qualsiasi sarà l’esito della partita, la maggioranza di governo non si potrà dire rafforzata.
Sullo sfondo rimangono sempre Mario Draghi e Sergio Mattarella. Sul primo si potrebbe convergere in quanto unico nome davvero condiviso, ma i presupposti per restare poi insieme al governo si fanno sempre più sfumati. Sul secondo, invece, si potrebbe arrivare alla fine, se dovesse risultare impossibile sia l’accordo sul Quirinale che quello su Palazzo Chigi. E se si chiedesse alla fine a Mattarella di restare a salvare il tutto e ricucire i tagli, del Quirinale si riparlerebbe poi il prossimo anno. Con un altro Parlamento.