Dunque, il Partito Democratico voterà scheda bianca durante i primi tre scrutini per l’elezione del Presidente della Repubblica. Una scelta molto discussa e certamente non priva di contraddizioni, soprattutto contestualizzando il clima in cui è avvenuta e le ragioni che l’hanno determinata. Rinunciare al candidato di bandiera equivale essenzialmente ad eliminare la possibilità di una “conta” nei primi scrutini ed evitare di evidenziare la frantumazione correntizia all’interno del PD (non è un mistero che spesso aggregare i voti intorno ad un candidato “terzo” o votare in dissenso rispetto al gruppo sia il modo in cui i “gruppetti” mettano in mostra il loro peso numerico e sia la precondizione di trattative più o meno segrete); in seconda battuta la “scheda bianca” è una sorta di garanzia “numerica” che permette anche di controllare “trasversalmente” i movimenti degli altri gruppi parlamentari.
Detto ciò, resta più di qualche domanda: a che serve questo tatticismo esasperato? Perché non eleggere (o almeno provare a farlo) il Capo dello Stato al primo scrutinio, considerando “l’ampia convergenza” di cui parla Renzi per primo? Perché nascondere fino all’ultimo momento il nome “definitivo” e comunicarlo solo poco prima della votazione? E di cosa parleranno allora nelle “consultazioni” con gli altri partiti? Perché utilizzare di nuovo il metodo del conclave papale, per giunta con la rete di sicurezza della maggioranza minima? E cosa accadrà se il candidato “unitario” PD – FI – NCD – SC – PI – GAL – Altri dovesse essere eletto con una maggioranza molto risicata (qualcuno ricorda ancora il caso Marini, immaginiamo…)?
Proviamo a rispondere evidenziando qualche dato numerico, prima di tutto relativamente agli equilibri interni al Parlamento (ovviamente i numeri sono approssimati, qui spieghiamo il perché):
L'elenco delle alleanze possibili mostra con ulteriore chiarezza come, ai nastri di partenza, la base di partenza su cui può contare Renzi sia molto ampia e come il rischio di agguati sia relativamente basso. In altre parole, in teoria si potrebbe tranquillamente superare il quorum dei due terzi (673 voti) anche al primo turno; così come in teoria la maggioranza non ha bisogno di "aiuti" per eleggere il Capo dello Stato dal quarto scrutinio in poi. Esemplificando:
E allora? Ecco, secondo molti analisti la risposta va cercata negli equilibri interni sia al Partito Democratico che a Forza Italia. Non indicando un candidato di bandiera, il segretario del PD costringerà infatti la minoranza a giocare su un tavolo molto delicato: sostenere sin da subito il candidato NN (Romano Prodi, a quanto pare) rischiando il mezzo flop, coinvolgere il M5S (non solo Sel) in un eventuale "agguato" alla maggioranza (mostrando quanto ampio sia il consenso sul professore, ad esempio) con il rischio di ricevere un "niet" che allora sarebbe determinante, oppure restare ancora "al coperto" con il rischio di restare schiacciata dalla valanga di voti al quarto scrutinio. Insomma, quello cui punta Renzi è un vero blitz: un'operazione rapida e incisiva, che porti al Colle il nome frutto dell'accordo con il Cavaliere azzerando i margini di manovra dei franchi tiratori e riducendo al minimo il peso contrattuale della minoranza.
Il punto è che, numeri alla mano, è praticamente impossibile che al quarto scrutinio non si elegga il nome condiviso con NCD e FI: l'unico rischio potrebbe venire da una vera operazione congiunta M5S – SEL – minoranza PD. Magari intorno al nome di Romano Prodi: come giustificare infatti un no secco nel caso in cui il Professore ottenesse un numero consistente di consensi nei primi scrutini? Fantapolitica, si dirà, considerando che la linea scelta dai grillini non prevede tatticismi o operazioni studiate a tavolino. Eppure, in ogni caso, è la sola mossa che potrebbe sparigliare il campo…