Mentre non si placano le voci che vogliono un imminente incontro fra Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi, i "pontieri" sono sempre al lavoro in vista del cruciale appuntamento del 18 aprile. Quando cioè le Camere si ritroveranno in seduta congiunta per eleggere il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale: uno snodo fondamentale, anche per il futuro a brevissimo termine del nostro Paese. Indissolubilmente legata all'elezione del Capo dello Stato è anche la possibilità di scongiurare il nuovo ricorso alle urne, eventualità temuta trasversalmente all'interno dei gruppi parlamentari. E, se è vero che persino Matteo Renzi ricorda la necessità di pensare ad un nome "per i prossimi 7 anni e non per le prossime 7 settimane", appare evidente che privilegiare un nome piuttosto che un altro restituirà indicazioni importanti sugli equilibri parlamentari e politico – istituzionali.
Anche per questo motivo la battaglia sui nomi non è mai stata così serrata (ieri vi presentavamo una rosa di 10 candidati, più o meno favoriti per la successione a Napolitano), soprattutto in casa democratica. La tensione è sostanzialmente fra due orientamenti: un nome di garanzia, gradito anche al Pdl, che in qualche modo agevoli la nascita di quelle "larghe intese" necessarie alle riforme, oppure un candidato più vicino, non sgradito al Movimento 5 Stelle, che sancisca la volontà di continuare a guidare il processo di transizione (magari con la garanzia che a Bersani sia ugualmente affidato l'incarico per la formazione del nuovo Governo, con tanto di via libera a presentarsi alle Camere per un voto di fiducia che metterebbe i grillini con le spalle al muro).
Quest'ultima ipotesi porta ovviamente al nome di Romano Prodi, candidato certamente poco gradito (per usare un eufemismo) a Silvio Berlusconi, sul quale in queste ore si stanno levando giudizi contrastanti. Infatti, accanto ad un drappello di fedelissimi che cerca di mantenere bassa l'attenzione sul nome del Professore (il rischio è quello di "bruciarlo" nel gioco correntizio), voci autorevoli segnalano una pattuglia di parlamentari disposti ad uscire allo scoperto, firmando un documento in cui si boccerebbe (il condizionale è d'obbligo, data la caratura del fondatore dell'Ulivo ed il rispetto di cui gode tra gli elettori di centrosinistra) la candidatura del Professore in quanto "troppo divisiva". Si tratterebbe di 120 parlamentari, un numero tra l'altro sufficiente ad affossare qualunque aspirazione (anche se con un po' di realismo si comprende come difficilmente il Pd arriverà ad una sanguinosa conta in Aula). Solo retroscenismo? Forse. Ma quello che è certo è che il Pd arriva diviso come non mai ad un appuntamento decisivo, con il "rischio" di preparare la strada ad un contropiede firmato Silvio Berlusconi.