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Opinioni

Quello che c’è da sapere prima di indignarsi per Pappalardo e i Gilet arancioni

Le manifestazioni dei gilet arancioni del Generale Pappalardo in alcune piazze italiane hanno generato polemiche e decise prese di posizione, soprattutto dopo la diffusione delle immagini che mostrano decine di manifestanti senza mascherine e senza distanziamento sociale. Prima di indignarci, però, ci sono delle cose che dobbiamo sapere.
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Le immagini le avete viste più o meno tutti: centinaia di persone in piazza a Milano per la manifestazione dei gilet arancioni del generale Pappalardo, in gran parte senza mascherina e comunque senza rispettare le norme del distanziamento sociale. Delle polemiche pure avete letto, incluso lo stupore di alcuni Sindaci e politici che si sono chiesti come sia stato possibile permettere assembramenti di questo tipo nel cuore della Regione più colpita dal Covid-19. Ci sono però dei tasselli che mancano e che forse rendono più chiara la ricostruzione di ciò che è accaduto e di quello che dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni.

Prima di tutto, bisogna sapere che quella di Milano non è stata una manifestazione isolata: nella giornata di sabato 30 maggio ci sono state 30 adunate dei gilet arancioni in ogni Regione, non tutte riuscitissime (qualche presidio ha visto la partecipazione di poche decine di manifestanti e si è sciolto in breve tempo). Si trattava di una mobilitazione organizzata da tempo, della quale avrebbero dovuto essere a conoscenza le autorità cittadine e le forze di polizia. Peraltro, le manifestazioni di ieri si inseriscono in un contesto più ampio: 5 giorni di mobilitazione generale proclamata per "liberare l'Italia" e svelare a tutti gli italiani la "verità sulla falsa pandemia". In tal senso, è piuttosto singolare registrare come Sindaci, politici e rappresentanti delle istituzioni siano cascati dal pero, come se si fosse trattato di un blitz estemporaneo e non di appuntamenti annunciati da settimane su tutti i social network e rimbalzati di profilo in profilo nella galassia gentista, complottista e movimentista. La cosa singolare è che l'assenza o quasi di mascherine e gli assembramenti erano prevedibili e finanche annunciati, visto che i manifestanti non solo negano l'utilità dei DPI, ma la pericolosità stessa del coronavirus. Non servivano clamorose operazioni di intelligence, sarebbe bastato ascoltare un discorso di Pappalardo su Facebook per vietare o almeno controllare un evento potenzialmente pericoloso per la salute collettiva.

Per inciso, qualche tempo fa il questore di Roma non concesse una piazza per una manifestazione Pappalardo-NoVax, ravvisando un "alto rischio per l'ordine e la sicurezza pubblica": condizioni che, evidentemente, né le questure né le prefetture hanno reputato sussistenti nella giornata di ieri.

Chi era in piazza a manifestare? Formalmente la mobilitazione è del Movimento Gilet Arancioni (attenzione, non si tratta dei gilet arancioni del 2019, composti da agricoltori che chiedevano interventi a sostegno di aziende e cooperative), ovvero l'ennesima creatura del generale Antonio Pappalardo (già Movimento Liberazione Italia, prima ancora volto dei Forconi con un passato anche in politica). In realtà, nelle piazze si sono ritrovati rappresentanti di una galassia composita, che va dai No Vax a ciò che resta dei Forconi, con la partecipazione di gruppi "autonomisti e indipendentisti" (in Sicilia) nonché di esponenti di piccoli movimenti di destra; va anche sottolineato che sempre la giornata di sabato 30 maggio ha visto scendere in piazza anche un nutrito gruppo di militanti di estrema destra, che nella Capitale hanno occupato per qualche ora piazza Venezia e tentato di raggiungere Montecitorio. Una saldatura naturale e inevitabile, probabilmente.

Non è semplicissimo ricostruire la nebulosa gentista, né rintracciare un filo conduttore nell'insieme di rivendicazioni, sentimenti, rabbia e desiderio di partecipazione che ha portato centinaia di persone in piazza ieri e vede delle continue micro-mobilitazioni sui social network. Sui caratteri tradizionali di azioni di questo tipo (la contrapposizione alle elite, il continuo riferimento a un mitico soggetto originario, il popolo, depositario di tutto ciò che è buono e giusto, l'indignazione contro la casta, l'ossessivo richiamo alle forze dell'ordine, la rabbia pre-politica, il nazionalismo e l'identitarismo di stampo razzista), si è imposto il complottismo come chiave unica di interpretazione del reale e, ovviamente, della pandemia. Gilet arancioni, antivaccinisti, estremisti di destra, negazionisti, terrapiattisti seguono un copione unico: il coronavirus è un trucco della finanza mondiale per far fallire il nostro Paese e comprarlo con pochi spiccioli; i morti di Covid-19 sono poche decine ("lo dice l'ISTAT", secondo Pappalardo); le mascherine sono il simbolo del complotto mondiale e vanno boicottate; il potere costituito sta facendo di tutto per censurare la verità; la popolazione va liberata da restrizioni inutili che non servono a nulla. Messaggi recepiti da quell'area grigia fatta di complottisti e creduloni, fino ai terrapiattisti, attraverso la galassia di pagine e account sui social network e che normalmente si risolvono in iniziative velleitarie e inconsistenti. Su cui l'estrema destra tenta da sempre di mettere il cappello, con risultati spesso ridicoli e surreali.

Il coronavirus ha dato nuova linfa a questo universo, che è da sempre molto permeabile alla retorica, alla strumentalizzazione politica e alle campagne di disinformazione. Ma sarebbe miope liquidare la questione con sdegno e indignazione un tanto al chilo. La pandemia e il lockdown hanno acuito il senso di spaesamento e di confusione di masse destrutturate culturalmente e abbandonate in modo più o meno consapevole dai movimenti politici tradizionali. I messaggi contraddittori (o almeno raccontati come tali) di istituzioni, autorità ed esponenti del mondo accademico, hanno poi aumentato il senso di sfiducia nei confronti degli "esperti" (altro tratto distintivo del "populismo gentista"), accusati di essere incapaci di fornire risposte concrete ed efficaci alla minaccia o addirittura di essere i volti del complotto, i burattini nelle mani del potere. Ne scriveva Dupuy parlando di una società assuefatta alla paura e sottoposta solo a stimoli negativi: "Così l'annuncio di un disastro non provoca alcun cambiamento visibile del modo di comportarsi o pensare; anche se veniamo informati, non crediamo a ciò che ci dicono e la mente respinge l'idea semplicemente dicendo a se stessa che non è possibile". Negare il problema come reazione naturale alla paura, insomma. La crisi ha agito da catalizzatore di bisogni, necessità, ansie e insoddisfazioni, ampliando il vuoto prodotto dalla disintermediazione a tutti i livelli, ma anche dalla sottoproletarizzazione e dall'impoverimento economico e culturale di quelli che una volta erano i ceti medi. Ci sono migliaia di persone che nella crisi hanno scoperto di non avere un piano B, che si sono ritrovate esposte e vulnerabili, impaurite e abbandonate. E senza risposte hanno finito con l'abbracciare quelle più semplici, immaginando un futuro più cupo, una società meno aperta e solidale, una vita in lotta contro un nemico subdolo e invisibile.

Il complottismo è il nostro oblò sull'abisso, certo. Ma è anche la dimostrazione di come il vuoto della politica e della cultura possa generare mostri.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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