Silenzio assoluto.
A differenza del fuoco incrociato contro cui ci dovemmo difendere quando uscì Lobby Nera, di fronte all’inchiesta di Fanpage.it su Gioventù Nazionale, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, i suoi colonnelli e i suoi bracci armati mediatici hanno scelto di nascondere la testa sotto la sabbia. A questo giro, a differenza di quanto accadde allora, niente richieste di consegnare tutto il girato come non fosse una nostra proprietà, niente strampalate accuse di montaggio artefatto e niente processi celebrati in contumacia nelle arene dei talk show, in cui veniva solamente invitato chi ci accusava.
Ci limitiamo a registrarlo, consapevoli che non siamo noi a dover decidere come una presidente del Consiglio debba rispondere a un video nel quale si mostra come la giovanile del partito di cui è leader sembri essere a tutti gli effetti una fabbrica di estremisti di estrema destra, nelle cui sedi si celebrano concerti di musica identitaria, si consumano testi neofascisti e si organizzano campi comunitari in cui si inneggia a Hitler e Mussolini.
Non è affar nostro, ma ciò non ci impedisce, a mente fredda, di mettere in fila almeno quattro questioni chiave a cui Giorgia Meloni dovrebbe rispondere, se vivessimo in un Paese in cui il capo del governo tiene conferenze stampa e concede interviste anche a giornali che non le chiedono solo se preferisce panettone o pandoro.
Uno. Meloni era al corrente?
La prima questione è la più ovvia: era al corrente di tutto questo, Giorgia Meloni? Che i suoi ragazzi “stupendi” – quelli che nel cuore di Roma hanno fatto campagna per lei e Nicola Procaccini in occasione delle ultime elezioni europee – preferiscano scrivere “Duce” anziché “Giorgia” sulla scheda elettorale? O che organizzino raccolte alimentari in cui il cibo non finisce in pasto ai “ne*ri”? O che facciano apologia di Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e del terrorismo nero degli anni ’70?
Due. Chi vigilava su Gioventù Nazionale?
Immaginiamo la risposta sia no. Ma allora – seconda questione – che ne pensa Giorgia Meloni dei suoi parlamentari e dei maggiorenti del partito come gli onorevoli Perissa e Trancassini, che quei circoli li hanno frequentati più volte senza “accorgersi” di nulla, impegnati com’erano a scambiarsi saluti gladiatori e dichiarare, come ha fatto sua sorella Arianna, che la sezione pinciana di Gioventù Nazionale, quella guidata da Flaminia Pace, “rappresenta ciò che noi siamo”? Nulla da eccepire sul fatto che i colonnelli a cui ha affidato il partito non si fossero accorti che una delle più importanti scuole di formazione del partito – non prendiamoci in giro: questa è un giovanile nel cuore di Roma – organizzasse l’attacchinaggio notturno di adesivi col fascio littorio inneggianti la Decima Mas?
Tre. Che ne pensa del saluto gladiatorio tra parlamentari?
Terza questione, a proposito di saluti gladiatori: trova normale Giorgia Meloni che i parlamentari del suo partito si salutino con una stretta di avambraccio che è da sempre il segno di reciproco riconoscimento dei militanti neofascisti? Perché al netto di ogni folklore, non giriamoci attorno, questo è ciò di cui stiamo parlando quando parliamo del saluto gladiatorio. È normale, secondo la presidente del consiglio, che quel saluto – ostentato rigorosamente a telecamere spente e giornalisti lontani – sia prassi per diversi parlamentari di una moderna forza conservatrice e atlantista?
Quattro. Cosa ha intenzione di fare?
Quarta e ultima questione: cosa ha intenzione di fare Giorgia Meloni? Continuare a fingersi morta finche l’attenzione scema, sperando che dieci milioni di italiani – più o meno quelli che hanno visto l’inchiesta di Fanpage, nel silenzio complice dei telegiornali che hanno scelto di non dedicarvi mezzo minuto – si dimentichino di tutto? O di affrontare, come suggerimmo di fare dopo Lobby Nera, le enormi, conclamate compromissioni di Fratelli d’Italia con le ideologie neofasciste? Ci rimane la speranza voglia farlo comunque, a fari spenti, per evitare davvero che il suo partito diventi una scuola di formazione di giovani fascisti, così come sembra essere stato sinora.
A meno che, s’intende, non sia questo quel che vuole.
Che non faccia parte della strategia.