Quanto si paga di tasse e contributi sul lavoro e cosa vuole fare il governo per alzare i salari
Tasse e contributi sul lavoro in Italia pesano come quasi in nessun altro Paese industrializzato, soprattutto nel caso dei dipendenti con figli. Secondo l'ultima rilevazione dell'Ocse, tra imposte sul reddito e contributi, va via in media il 46,5% dello stipendio lordo. Se però si va a vedere quanto incassa lo Stato da contributi previdenziali e Irpef, si ottiene una cifra pari a 180 miliardi di euro a carico di datori di lavoro e lavoratori, complessivamente quindi, per entrambi il cuneo fiscale e contributivo, nel settore privato, è circa il 60% del salario lordo. Il dato, però, potrebbe essere rivisto al ribasso nei prossimi mesi, quando verranno calcolati con più precisione gli effetti della riduzione dell'Irpef secondo la Legge di Bilancio dello scorso dicembre.
Il dato registrato dall'Ocse, in ogni caso, è in calo di 0,4 punti rispetto al 2020 e mette l'Italia nella top five dei Paesi con il cuneo più alto tra i 38 Paesi che aderiscono all'Organizzazione. La media è infatti del 34,6%, con tre grandi nazioni europee comunque a livelli molto alti. Si tratta di Germania (48,1%), Austria (47,8%) e Francia (47%).
Da noi, mentre si discute sul salario minimo, vista anche l'apposita direttiva su cui si è trovato un accordo tra le istituzioni europee, i sindacati concordano sul fatto che va aumentato il netto in busta paga per lavoratori e pensionati. Della stessa idea anche Confindustria, che però chiede di tagliare il cuneo fiscale anche o solo dal lato delle imprese. In ogni caso tutti convergono sul taglio del cuneo, che in qualche modo gioverebbe in ogni caso ai lavoratori.
Per questo in particolare il ministro del lavoro Andrea Orlando sta lavorando a un pacchetto di interventi da circa 16 miliardi di euro, che si potrebbero trovare dai maggiori fondi ottenuti recuperando l'evasione contributiva. L'idea è di affrontare contemporaneamente il nodo del cuneo fiscale e quello del salario minimo, con tre direttrici: rinnovare 6,8 milioni di contratti nazionali scaduti, equiparare il salario minimo di un comparto ai minimi del contratto collettivo più rappresentativo dello stesso settore e ridurre il cuneo fiscale (sia lato imprese che lato lavoratori). In questo modo si potrebbe intervenire sui salari senza una vera e propria legge sul salario minimo, su cui i partiti che compongono la maggioranza sono spaccati. Un escamotage per fare subito qualcosa e dare un segnale concreto ai lavoratori.