Ci sono diversi elementi che compongono alla costruzione di un governo stabile e in grado di lavorare a lungo e con efficacia. Il consenso parlamentare è la base minima, quello popolare una condizione necessaria. Allo stesso modo, è piuttosto importante quello che spesso viene definito "clima di fiducia", ovvero la percezione comune di cittadini, osservatori internazionali e portatori di interessi di vario tipo, sulle capacità dei governanti di guidare il Paese. Con grande onestà, bisognerebbe convenire sul fatto che, nei primi mesi della sua reggenza a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni ha potuto godere di simili condizioni, accompagnate peraltro da un'enorme apertura di credito da parte di media e partiti storicamente non proprio vicinissimi alla destra.
Il punto, però, è che tali condizioni sono necessarie e non sufficienti, come la leader di Fratelli d'Italia sta imparando a proprie spese. Perché la luna di miele continui, è necessario che Meloni trovi la soluzione al rebus rappresentato dalla composizione della sua maggioranza e, soprattutto, dalla classe dirigente dei partiti che la sostengono. In effetti, non c'è solo l'enorme questione degli equilibri interni e dei rapporti personali e politici con gli alleati, peraltro non sempre serenissimi. L’impetuosa crescita del consenso personale di Meloni ha riportato al governo del Paese parte della vecchia classe dirigente del centrodestra, creando uno strano miscuglio con i giovani della nuova destra meloniana e della galassia salviniana. All’approccio conservativo nella formazione del governo ha fatto da contraltare una grande aggressività nei corridoi e nelle aule parlamentari, nonché nelle dichiarazioni d’intenti dei nuovi arrivati. Del resto, come vi abbiamo raccontato, Meloni e i suoi fedelissimi non hanno alcuna intenzione di vivacchiare a Chigi per qualche anno: l’idea è quella di impostare intorno all’azione di governo (e per il tramite di essa) un radicale progetto di rinascita culturale e politica della destra. Ecco, l’ipotesi che una simile strategia sia compatibile con la flemma e la tendenza all’autoconservazione della classe dirigente del vecchio centrodestra è tutta da dimostrare. Così come è da verificare sul campo la preparazione delle nuove leve della destra, soprattutto dopo le prove non certo esaltanti di questi primi mesi.
Tutto ciò ha prodotto una tremenda confusione: gaffe, errori di forma e sostanza, dichiarazioni improvvide, retroscena imbarazzanti e picchi di tensione che hanno finito per penalizzare l’azione di governo e riempito le pagine dei giornali. Le dichiarazioni di Berlusconi sull’Ucraina e Putin, le fughe in avanti di Salvini, i grattacapi di Nordio, le incertezze di Piantedosi, l’incredibile dilettantismo dei suoi fedelissimi nella gestione del caso Cospito, le promesse tradite su benzina, energia, reddito di cittadinanza e superbonus: vicende che sono la conseguenza di un clima, più che la causa degli attriti interni alla maggioranza.
Una situazione di fronte alla quale la leader di Fratelli d’Italia sta provando a uscire con un’operazione più comunicativa che di sostanza. Essenzialmente, la strategia è quella di sovrapporre alla realtà dei fatti, che logicamente suggerisce di ricercare responsabilità e meriti nell’inquilina di Chigi, una narrazione di segno leggermente diverso. Il frame narrativo potremmo chiamarlo “Meloni aggiustatutto” e si compone di passaggi piuttosto semplici.
C’è il leader storico del centrodestra e terzo azionista della maggioranza che piccona il muro occidentale del sostegno all’Ucraina rilanciando l’imbarazzante propaganda russa sul Donbass in più occasioni? Certo, ma c’è Meloni che garantisce sull’atlantismo di ferro dell’Italia, quindi nessun problema. Zelensky attacca duramente Berlusconi in mondovisione? Beh, vero, ma senza la presenza della leader di Fratelli d'Italia sarebbe andata molto peggio.
La maggioranza cancella il reddito di cittadinanza promettendo un piano complessivo di riforma di cui dopo mesi non si vede nemmeno l’ombra? Meloni ha garantito che arriverà, basta questo.
Il presidente del Senato e seconda carica dello Stato rivendica busti di Mussolini, parla di diritti con una superficialità discutibile e continua a mantenere un impegno nel partito nonostante il ruolo istituzionale? Non è un problema, ha sempre fatto così e Meloni garantisce anche per lui.
Ci tocca assistere a raid squadristi da parte di soggetti che si muovono nello stesso spazio politico di Fdi? Il ministro dell'Istruzione bacchetta una preside che ricorda i valori della Costituzione? Non c’entra con Meloni, che, pur senza condannare esplicitamente i fatti di Firenze, ha già preso le distanze dal fascismo.
Sul superbonus il governo riesce a fare un disastro comunicativo e politico, con un annuncio che scontenta tutti e cui non segue una soluzione adeguata della vicenda? Niente paura, Meloni sta tornando da Kiev e prenderà in mano la situazione al più presto.
Potremmo continuare a lungo con gli esempi, ma il concetto è chiaro: Meloni è riuscita a creare una costante disambiguazione fra l'operato della sua maggioranza e il suo, tra le sbandate dei suoi fedelissimi e la sua conduzione politica. Davanti a casi politici veri e propri, determinati dalle ambiguità dei partiti che la sostengono, non sembra neanche aver bisogno di dissociarsi: si presenta sempre come costitutivamente diversa, come altro. Vola alto rispetto alle miserie della politica e interviene solo quando c'è davvero la necessità di farlo, così ci suggeriscono spin e retroscena. Una mitopoiesi cui sta contribuendo anche quel che resta dell'opposizione parlamentare, con leader o presunti tali che non perdono occasione per magnificarne le doti politiche e umane, la caratura da statista e via discorrendo.
Una narrazione che si è imposta dunque con una discreta facilità e che, a giudicare dai sondaggi, pare davvero funzionare. Quanto durerà non è dato sapere, perché prima o poi le contraddizioni della favoletta Meloni aggiustatutto sono destinate a venir fuori. Piaccia o meno, la Presidente del Consiglio è politicamente responsabile della linea e delle scelte specifiche del governo, c'è il suo marchio su ogni provvedimento o dichiarazione, persino sugli scivoloni di ministri che ha scelto e sostenuto. Così come non può funzionare a lungo la strategia dello sdoppiamento leader di partito / capo di governo, almeno finché Fratelli d'Italia non si doterà di una struttura interna con un minimo di autonomia e non produrrà una classe dirigente in grado di affiancarla. Soprattutto, Meloni è l'ispiratrice dell'idea di egemonia culturale che orienta comportamenti e azioni delle nuove leve della destra italiana. Gli attacchi ai diritti, le sparate reazionarie, le tesi oscurantiste non sono eventi sporadici o casuali attribuibili a questo o quel personaggio, ma veri e propri atti politici che vanno nella direzione suggerita dalla leader di Fratelli d'Italia. È questo il limite della favoletta di Meloni aggiustatutto: prendersi il merito di aver tappato una falla, dopo aver contribuito ad aprirla.