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Quanti anni ha, D’Alema? Quanti se ne dà, stasera?

Il lider Maximo del PD, in un’intervista della Gruber, oltre al suo endorsement nei confronti di Pierluigi Bersani, non smentisce il suo proverbiale ermetismo e uno spiccato senso di attaccamento alla poltrona.
A cura di Andrea Parrella
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Il numero balistico di Massimo D'Alema in tv è di quelli che fanno sognare. A Otto e mezzo (qui il link della puntata), ieri sera, durante una delle sue abituali e spettacolari esibizioni di reticenza (in questo non trova pari, non vi è dubbio), quando la Gruber gli chiede se rinuncerebbe ad una carica futura in nome di un rinnovamento interno al partito, lui risponde con calma serafica e pause sincopate di qualche secondo. La risposta diceva più o meno:

Non capisco perché, in un paese dove si può condurre un programma televisivo per diecimila anni, si può essere direttore di giornale per cento anni, in un paese nel quale ci sono persone che stanno in parlamento da più tempo di quello che ci sono stato io, il problema di eliminare il gruppo dirigente del centro sinistra sia diventato il problema del rinnovamento del paese. A me sembra un po' esagerato.

Vogliamo gridare all'autogol? D'Alema dovrebbe rendersi conto di ciò che dice. Sia ben chiaro, se Matteo Renzi ha qualche speranza di divenire il candidato premier ufficiale del PD non è perché stia particolarmente simpatico, o in virtù di una palese efficienza comunicativa. E' solo ed esclusivamente perché un problema l'ha evidenziato. Che lo si chiami politburo (termine che in questi giorni piace assai), che si citi la variante nomenklatura (che pure è in voga), la sintesi è un problema gestionale e di classe dirigenziale del partito. Vale per tutti i partiti, ma il PD ne è una sineddoche, una parte per il tutto. Non è esente e, dunque, non è un po' esagerato.

La traduzione dell'afflato di ribellione generazionale non è banalmente un dentro i giovani via i vecchi, o meglio non dovrebbe. E' bene che si afferri questa discriminante. Forse D'Alema è infastidito dalla definizione, turbato dal sentirsi attribuito di un'accezione che non gli garba, quella di persona agée. Ci teniamo a rassicurarlo di questo, poiché non si mette in dubbio che sarà capace di intendere e volere ancora per molti anni. Ad essere vecchia e superata, senza dirlo con troppi clamori, è proprio quella classe dirigenziale che lui definisce più giovane delle tante altre forme di gerontocrazia presenti in Italia.

Esiste un detto, un modo di dire, efficace per sua stessa essenza, sentenzia che chi si sente giovane dentro, non invecchia mai. Sarebbe giusto chiarire che l'aggettivo vecchio, attribuito all'attuale compagine parlamentare, non ha connotati anagrafici. Viene richiesto nel curriculum, molto banalmente, del sano entusiasmo, misto ad irrinunciabili competenze. E' ben evidente che in questo preciso momento storico, la classe dirigenziale del PD (e di tutti gli altri partiti, così D'Alema non s'offende) manca sicuramente della prima componente.

E' bene che Renzi maneggi con cura la questione rottamazione, incipit del suo manifesto politico e lama a doppio taglio. Il timore è che, in caso di sua vittoria, possa verificarsi una defenestrazione orizzontale, indiscriminata; diciamolo, forse sarebbe un errore.

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