Quando il giovane Matteo Salvini difendeva i centri sociali: “Posti per discutere, bere e divertirsi”
Negli ultimi giorni, al centro della politica nazionale c'è stata la polemica per gli scontri avvenuti a Bologna tra le forze di polizia e alcuni manifestanti, che protestavano contro un corteo di Casapound. Tra gli interventi più duri c'è stato quello del vicepremier e leader leghista Matteo Salvini, che da anni ha fatto dei centri sociali uno dei bersagli preferiti delle sue invettive. "Bisogna chiuderli questi centri sociali occupati dai comunisti", ha affermato il ministro. Che però esattamente trent'anni fa, quando era consigliere comunale a Milano, aveva usato un tono ben diverso per parlare dei centri sociali. Aveva detto di averli frequentati per anni, e che non erano ambienti violenti, ma di giovani che volevano divertirsi e confrontarsi.
Era avvenuto nella seduta del 12 settembre 1994. Il caso di cui si discuteva era quello del Leoncavallo, un noto centro sociale milanese nato nel 1975. A causa di scontri con la polizia avvenuti pochi giorni prima, il dibattito in Consiglio comunale era acceso. Salvini, 21 anni, eletto consigliere poco più di un anno prima, aveva preso la parola e il suo intervento era stato talmente ‘aperto' alla causa dei centri sociali da meritarsi un articolo a parte sul Corriere della sera del giorno dopo. Il titolo riassumeva così le sue parole: "Conosco quei ragazzi, i violenti sono pochi".
Secondo quanto riportato anche il capogruppo del Partito democratico della sinistra in Comune, Stefano Draghi, aveva definito l'analisi del giovane Salvini "lucida e serena", con conclusioni "molto equilibrate". Il consigliere aveva detto: "Dai 16 ai 19 anni, mentre frequentavo il liceo Manzoni, il mio ritrovo era il Leoncavallo. Stavo bene, mi ritrovavo in quelle idee, in quei bisogni". Ancora nel 1994, aveva detto, molti suoi amici si riunivano lì.
Davanti al resto del Consiglio comunale, Salvini aveva difeso quei luoghi di ritrovo: "Nei centri sociali ci si trova per discutere, confrontarsi, bere una birra e divertirsi". E parlando specificamente di violenza, aveva detto che quelli che lui conosceva "non prenderebbero mai in mano un sasso o una spranga".
Poiché si parlava di scontri di piazza, il leghista era anche arrivato a dire che "per fare 5 miliardi [di lire, ndr] di danni bastano cinquanta, cento violenti e facinorosi", cercando quindi di chiarire che la responsabilità non andava addossata a tutti coloro che frequentavano il centro. Aveva chiesto ai giovani suoi coetanei di "rifiutare la logica dello scontro armato" e "isolare loro stessi chi può danneggiare le esigenze sane dei giovani milanesi".
Parlando con i cronisti fuori dall'aula, poi, Salvini aveva raccontato di aver avuto dei "guai" al Leoncavallo dopo essersi iscritto alla Lega, "ma non dai miei coetanei: a creare problemi sono sempre quelli lì, i 35-40enni che strumentalizzano i giovani e forse sono strumentalizzati loro stessi". Aveva poi detto che dopo l'elezione aveva smesso di frequentare il centro, ma non i ragazzi che ci andavano.
Il rapporto del giovane Salvini con i centri sociali era già stato messo in luce in passato. Ma da quando è diventato leader della Lega (e ha spinto sempre più il partito verso l'estrema destra) l'attuale ministro ha ritrattato sulla questione. Nel 2016, nel suo libro autobiografico "Secondo Matteo", ha parlato del Leoncavallo in questi termini: "Io nello storico centro sociale milanese avevo messo piede una sola volta. Per un concerto. La politica ancora non mi interessava". Parole ben diverse da quelle pronunciate nel 1994, quando la politica già gli interessava parecchio.