Quando è legittima difesa secondo la legge italiana
Dopo la vicenda del ristoratore di Casaletto Lodigiano, in provincia di Lodi, che ha ucciso a colpi di arma da fuoco un uomo sorpreso a rubare questa notte nel locale, nel paese si è tornati a parlare di legittima difesa. Il segretario della Lega Nod Matteo Salvini, ad esempio, ha chiesto che "il Parlamento approvi subito la proposta della Lega sulla legittima difesa, sempre e comunque. Un morto è sempre una brutta notizia, ma se invece di rubare fosse andato a lavorare, quel tizio oggi sarebbe vivo. Io sto con il ristoratore, io sto con chi si difende!"; affermazioni cui hanno fatto eco quelle di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, secondo cui "la difesa è sempre legittima e se entri nella mia proprietà di notte per rubare, nella migliore delle ipotesi, io ho il diritto di difendermi". Ma come funziona la normativa in Italia? Quand'è che è legittimo ricorrere alle armi?
La legittima difesa è disciplinata dall'articolo 52 del codice penale che dice che "non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa". In linea di massima perché si configuri la legittima difesa bisogna che ci sia la "necessità" (dunque non si configura legittima difesa nel caso in cui, ad esempio, l’aggressore sia in fuga), l’attualità del pericolo (che deve essere "presente o incombente") e la "proporzionalità all’offesa".
Sempre secondo l'articolo 52 del codice penale, il rapporto di proporzione è specificato dai casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma (violazione di domicilio), e sussiste se "taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale".
La giurisprudenza ha sempre considerato che "la consistenza dell'interesse leso (la vita o l'incolumità della persona) sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso (il patrimonio), ed il danno inflitto (morte o lesione personale) abbia un'intensità di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (sottrazione della cosa)". Insomma: l'incolumità di un ladro "valeva" più del suo bottino. Nel 2006, durante il governo Berlusconi è stato aggiunto il secondo comma, con la legge 59. Secondo questa modifica, il rapporto di proporzione esiste sempre se qualcuno che si trova in casa propria o nel posto dove lavora "usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo" per difendere non solo la "propria o altrui incolumità", ma anche i beni "propri o altrui". In molti hanno giudicato questo cambiamento molto pericoloso: alcuni giuristi hanno parlato di una "vera e propria licenza di uccidere, che legittima di fatto il farsi giustizia da soli e crea un’area riservata in cui il potere giudiziario deve abdicare al suo controllo ex lege".
È chiaro, comunque, che per usare un'arma nei casi in cui è consentito dalla legge – cioè per legittima difesa – sia necessaria una licenza, che viene rilasciata dai prefetti ed è subordinata alla dimostrazione di "un grave e fondato pericolo per la propria incolumità", in ragione della propria attività professionale o di una particolare condizione personale. Solo in questo modo si è autorizzati a "trasportare e detenere" tutte le armi da sparo e a "portare" quelle corte comuni. Discorso diverso per il porto di fucile, licenza rilasciata per la difesa "solo in particolari condizioni di rischio" o in casi specifici.