Mettiamola così: la prossima volta che sentirete o leggerete un qualunque politico italiano associare la locuzione "legge elettorale" all'avverbio "entro", semplicemente cambiate canale, chiudete la pagina o cambiate stazione radio. Un gesto semplice e senza conseguenze, che quantomeno vi impedirà di assimilare l'ennesima sciocchezza, o alla peggio, la nuova bugia. Già, perché basterebbe solo dare un rapido sguardo alla nemmeno tanto ampia carrellata, che ad esempio fa il Fatto Quotidiano, per rendersi conto di quanto stucchevoli e senza impegni concreti siano oramai tali dichiarazioni. Senza nemmeno andare troppo nel dettaglio e tralasciando tutte le indiscrezioni, i rumors, le bozze di accordo di cui pure vi abbiamo dato ampiamente conto negli ultimi mesi, ecco che cambiare il Porcellum sembra diventata una vera mission impossible. Ed in effetti:
Legge elettorale e riforme sembravano da mesi una priorità per i leader di Pd, Pdl e Udc. A marzo avevano dichiarato che in 15 giorni sarebbe arrivato il testo. A inizio aprile per Alfano occorreva un anno per la riforma costituzionale, e solo tre mesi per cambiare il Porcellum. A sinistra, da Finocchiaro a Violante, parlavano nelle stesse settimane di “tempi stretti” e “piuttosto rapidi” e Bersani era convinto di trovare un’intesa entro i primi di luglio. Per Casini a giugno l’accordo era imminente, nell’ordine delle “due o tre settimane” e alla fine del mese successivo il leader centrista voleva “subito” la legge elettorale. Cicchitto e Gelmini hanno addossato la colpa del ritardo a Bersani e Rosy Bindi aveva espresso il veto sulle vacanze del Senato se non ci fosse stato il primo voto a Palazzo Madama. Urgenze e tempistiche che non hanno trovato riscontro nei fatti.
Insomma, se i nostri rappresentanti intendono pensare a qualche campagna pubblicitaria che metta in evidenza i risultati strabilianti raggiunti dal nuovo (?) corso della politica, il suggerimento è davvero quello di evitare con cura l'argomento Porcellum. Anche perché, per chi non lo sapesse, sulla necessità di cambiare la porcata calderoliana sembravano essere tutti d'accordo. E le centinaia di migliaia di firme raccolte dai comitati referendari testimoniano come la volontà dei cittadini resti quella di tornare ad un sistema elettorale "decente", che consenta di scegliere in maniera compiutamente libera i propri rappresentanti, ridando valore al voto individuale ed impedendo che siano le segreterie dei partiti a scegliere deputati e senatori.
E allora? Cosa frena il Parlamento dal risolvere questa indecenza una volta per tutte? Senza giri di parole, la risposta è semplice: calcolo e convenienza politica. Da una parte non è chiaro fino a che punto e a quale partito convenga cedere "lo scettro del comando" e perdere quella centralità mai avuta nell'intera storia repubblicana. Dall'altra l'avvicinarsi della consultazione e le particolari contingenze spingono le forze politiche a fare cervellotici calcoli, ad immaginare improbabili alchimie e a mettere in campo tatticismi ed "agguati": in gioco vi è "l'autoconservazione della specie" e il destino a breve – medio periodo di intere formazioni. Nonché il futuro del Paese, ogni tanto gioverebbe ricordarlo. E così tra proporzionale, maggioritario, premi di maggioranza, liste bloccate (a quelle nessuno intende rinunciare, fosse anche in piccola percentuale), soglie di sbarramento, la sensazione è che più che un compromesso al ribasso, i nostri rappresentanti finiranno col partorire un nulla di fatto. Rinfacciandosi poi reciprocamente la responsabilità, come già del resto sta avvenendo in questi giorni. Un film, già visto.