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Quali sono i “sacrifici” che la Manovra richiederà secondo Giorgetti e perché si parla di nuove tasse

Il ministro dell’Economia Giorgetti ha parlato di “sacrifici per tutti” con la nuova manovra e annunciato che ci sarà una “chiamata di contribuzione” per tutti: un’espressione vaga, che ha fatto pensare a nuove tasse, soprattutto per le grandi aziende. Una versione che il Mef ha poi smentito, ma non del tutto. Ecco cosa sappiamo finora.
A cura di Luca Pons
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Le parole del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, pronunciate ieri, hanno creato ore di caos politico e anche sui mercati, con piazza Affari in calo. Uno dei motivi è stato che le sue dichiarazioni sono state piuttosto vaghe: rispondendo a una domanda sugli extraprofitti delle banche, Giorgetti ha detto che "non esistono contributi volontari" perché "le aziende non fanno beneficenza", ma si è appellato all'articolo 53 della Costituzione, "secondo cui ciascuno è chiamato a contribuire in base alle proprie possibilità".

Cosa ha detto il ministro Giorgetti

Questo, insieme ad altri passaggi del discorso durante un'intervista a Bloomberg – "saranno chiesti sacrifici a tutti", "vuol dire andare a tassare i profitti di chi li ha fatti, le rendite di chi le ha fatte", ma anche "è uno sforzo che tutto il sistema Paese deve fare: privati, piccole, medie e grandi aziende", "tutti quanti siamo chiamati a concorrere" e soprattutto "ci sarà una chiamata di contribuzione per tutti, non semplicemente per le banche" – hanno fatto pensare che il ministro abbia in mente una nuova forma di prelievo rivolta alle aziende che hanno avuto i profitti più alti.

Una versione su cui molti partiti della stessa maggioranza non sarebbero d'accordo: Forza Italia è sempre contraria a "innalzare la tassazione in Italia", ha ricordato il suo portavoce Raffaele Nevi; mentre Matteo Salvini (segretario della Lega, partito di Giorgetti), ha sottolineato che questo "non è il governo delle tasse", anche se è tornato a sottolineare che sarebbe utile un "contributo volontario" delle banche, "che hanno fatto 40 miliardi di utili".

Le smentite e le correzioni del ministero

Anche se i timori di una nuova tassa si sono diffusi -anche sui mercati -, è stato lo stesso ministero dell'Economia a cercare di correggere il tiro. Prima, il sottosegretario Federico Freni (altro leghista) ha assicurato che "non c'è allo studio nessun aumento delle tasse per nessuno", perché "le nuove tasse non fanno parte del Dna di questo governo, evitiamo boutade". Secondo Freni, il messaggio di Giorgetti era "una cosa scontata: tutti devono pagare le tasse, non ci sono nuove tasse allo studio, è escluso".

Poi, anche lo staff del ministero è tornato sull'argomento con una nota informale. Anche se, va detto, in questo caso i toni sono stati meno netti: "La linea guida sarà l’articolo 53 della Costituzione", ha ribadito il Mef, specificando che "si chiederà uno sforzo alle imprese più grandi che operano in determinati settori in cui l’utile ha beneficiato in qualche modo di condizioni favorevoli esterne".

A queste aziende si chiederà di "contribuire". In che modo? Su questo è "in corso un confronto". Insomma, se non si può parlare di nuove tasse, si può sicuramente immaginare uno "sforzo" richiesto a chi ha avuto utili molto alti, come le banche, ma anche le aziende dell'energia e quelle del settore della difesa, citate dallo stesso Giorgetti.

Anche perché lo staff ha proseguito chiarendo che "non è allo studio nessuna nuova tassazione per gli individui", mentre "le aziende più piccole sono già interessate al concordato biennale preventivo". Ancora una volta, quindi, il Mef non ha escluso esplicitamente un aumento delle tasse per le grandi aziende (a differenza di quanto fatto dal sottosegretario Freni).

Il precedente della Robin Hood tax: cos'era

Nelle ultime ore, più di un osservatore ha ricordato la Robin Hood tax, la tassa straordinaria varata nel 2008 dal ministro Giulio Tremonti. Si trattò di un aumento dell'Ires per le imprese del settore dell'energia che avevano avuto utili molto più alti del solito, pari prima al 5,5% e poi al 6,5%. La tassa nel 2011 fu poi riconfermata, estesa e alzata al 10,5%. Era un periodo estremamente delicato dal punto di vista dei conti pubblici, gli anni in cui la crisi economica stava facendo sentire i suoi effetti, a cavallo tra l'ultimo governo Berlusconi e l'esecutivo guidato da Mario Monti.

Nel 2015, la tassa fu poi dichiarata incostituzionale. I giudici la bocciarono non per il suo funzionamento in sé (l'idea di un aumento straordinario delle tasse, purché proporzionale, non va necessariamente contro la Costituzione), ma perché non era stata sufficientemente limitata nel tempo e nelle modalità. Al momento, comunque, sembra che il governo Meloni non sia intenzionato a seguire questa direzione, ma preferisca muoversi – come hanno chiesto i partiti di maggioranza – verso soluzioni più moderate.

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