Non vincono gli atleti, ma le nazioni. E' il trionfo del nazionalismo. La medaglia d'oro la conquista il presidente della Repubblica, il telecomando in mano che dalla poltrona, si precipita a congratularsi con l'atleta dandone ampia copertura a tutti i mezzi d'informazione. L'atleta, che una volta diceva alla mamma "Sono arrivato uno!", oggi si prepara a una carriera da parlamentare.
Poteva mancare nell'omnium grillino la dissertazione sulle Olimpiadi? Ad essere sinceri sì, tanto più che il breve post comparso sul blog dell'ex comico non aggiunge altro all'abusato anticonformismo spicciolo così di moda negli ultimi tempi. E quindi, dopo gli Europei di calcio, le feste patronali, i "costumi" degli italiani, internet, i giornali, ecco che sotto le Forche Caudine – Grilline passa anche la rassegna olimpica. E le Olimpiadi di Londra diventano in un colpo solo il trionfo del nazionalismo. In una apoteosi di semplicismo e luoghi comuni, secondo un'analisi datata e che rimanda ad una concezione banale e superficiale dello spettacolo delle Olimpiadi, che dovrebbero essere "per definizione" un momento di unione, condivisione, gioia (e ci fermiamo qui tanto per non scadere nella retorica).
E più che essere al passo con i tempi, innovativo, radicalmente nuovo, il post di Grillo ricorda analisi datate, vecchie e tutt'altro che rivoluzionarie. Leggevamo una cosa del genere pochi giorni fa, per puro caso:
Questo nazionalismo fanatico non scorge nulla, né una causa prima né una legge naturale, né una comunità universale, al di fuori e sopra dell'essere nazionale. La nazione, entità assoluta, si rizza mastodontico Leviathan su tutto e su tutti, perché tutto e tutti le siano immolati: individui, famiglie, classi, religioni, autonomie d'ogni specie. Questa irrazionale concezione della collettività nazionale appunto perché ripudia il limite etico di una norma superiore, appunto perché non ha altra legge che se stessa, altro movente che il suo egoismo, altro ideale che il proprio interesse, si risolve, prima o poi in una scaturigine di disordine.
Già, peccato che si trattasse di un numero di Civiltà Cattolica del 1940, altrimenti le considerazioni di Grillo si rivelerebbero quasi attuali. Per non parlare di come faziosamente Grillo mischia la gioia ed il sudore degli atleti con la speculazione degli sponsor, la festa spontanea della gente con l'opportunismo della politica, la bellezza dello sport che unisce con i trucchi e lo squallore del doping. No, davvero caro Beppe. Questa è un'operazione squallida e sicuramente non necessaria. Oltre che banale.