Di Gianni Cuperlo non possiamo che parlar bene. O meglio, non possiamo che ripetere ciò che a suo tempo scrivemmo su Bersani: una persona perbene, con la schiena dritta e con cuore, cervello e gambe. Il punto è che, altrettanto pacificamente, ci sembra che abbia il carisma di Tabacci, l'autorevolezza di Nencini e che alle primarie abbia le stesse possibilità di vincere di Monti alle politiche del 2013.
Ma soprattutto il problema è che non bisognerebbe girarci troppo intorno e constatare che lo hanno sostanzialmente mandato allo sbaraglio contro il vincitore annunciato, nel tentativo di salvare il salvabile di un apparato vecchio, anzi, marcio. Un apparato sostanzialmente responsabile dell'ultimo clamoroso flop elettorale alle politiche, delle nefaste scelte strategiche che hanno portato il Paese nel caos politico – istituzionale (su tutte, l'appoggio al Governo Monti, la rivitalizzazione di Silvio Berlusconi e l'incredibile affossamento di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica), dell'umiliazione degli elettori democratici con le larghe intese blindate dal Capo dello Stato e soprattutto della "distruzione dello spirito comunitario del partito".
Intendiamoci, a sostegno dell'ex leader dei Giovani Comunisti lavorano tanti volontari e ragazzi "che vedono il partito come una comunità e non come un comitato elettorale" (per citare una definizione "interna"), così come del tutto legittime e rispettabili sono le valutazioni strettamente politiche di chi ne sostiene convintamente la candidatura. E allo stesso tempo bisogna riconoscere e valutare con onestà intellettuale il "repentino riposizionamento" sul carro del vincitore annunciato di tanti leader correntizi o presunti tali.
Ma negare l'origine e lo scopo della nomina di Cuperlo come sfidante di Renzi è operazione decisamente discutibile, al pari delle obiezioni sul fatto che sia l'espressione dei responsabili dello sfascio del partito. Eppure a fornire indicazioni chiare su quello che dovrebbe essere oggetto di analisi è lo stesso Cuperlo quando cita Bobbio: "I partiti della sinistra italiana scrisse che discutono del loro destino senza discutere della loro natura"; oppure quando spiega che il "segretario del Pd non deve rimanere chiuso in stanze fumose a cercare mediazioni tra le correnti". Ecco, la fotografia esatta di ciò che è stato il Pd negli ultimi anni. Quello monopolizzato dalla sua corrente. Quello delle tessere gonfiate, dei congressi blindati, delle cooptazioni, dei compromessi al ribasso, delle mediazioni avvilenti (e quello delle primarie farlocche per capirci). Quello in cui persino nelle giovanili di partito si ripropongono gli stessi schemi di spartizione e le stesse dinamiche correntizie.
Cuperlo è la cura omeopatica al male endemico del Pd. E sta provando, lo ripetiamo con tutta la volontà e l'impegno possibili, a spostare l'asse della discussione dove "fa più male" a Renzi, riportando con dignità la discussione sulla tradizione della sinistra; per dirla con Gad Lerner, puntando sul fatto che "non c'è un’altra forza politica che possa garantire nei tempi di crisi in cui ci troviamo una lotta alle ingiustizie sociali e che metta al centro il tema dell’uguaglianza e del lavoro". Parole sacrosante ma, con tutto il rispetto, già sentite venti anni fa e ripetute ad intervalli più o meno regolari ad ogni "rilancio del centrosinistra".
Che poi di queste cose ci sarebbe piaciuto poterne parlare con Cuperlo. Ma, per paradossale che possa sembrare, ci siamo trovati ad interfacciarci con una pletora di burocrati, funzionari, pseudocollaboratori, rappresentanti, presenzialisti per i quali bisognava passare, con i quali bisognava concordare domande, passaggi eccetera. Ma c'era da aspettarselo, da chi considera "nuovi media" i telegrafi o i piccioni viaggiatori.