Dalla tre giorni della Leopolda 2013 di Firenze (che vi abbiamo raccontato anche qui) esce con ogni probabilità il nuovo segretario del Partito Democratico. Non è solo questione di sondaggi, che peraltro indicano con chiarezza il vantaggio (40 punti) di cui godrebbe Matteo Renzi rispetto agli altri contendenti, Gianni Cuperlo, Pippo Civati e Gianni Pittella, in rigoroso ordine di arrivo probabile. È una questione più complessa, che chiama in causa sensazioni, suggestioni, riposizionamenti e soprattutto conversioni sulla strada del Nazareno. E se c'è una voce che si rincorre nelle sale della Leopolda è questa: "Stavolta tocca a Matteo, stavolta vinciamo noi".
Questa è la voce della Leopolda che suona più perentoria, più chiara, più netta. Poi c'è il resto. Che ha tante sfaccettature e tanti livelli di pensiero diversi. E che vogliamo provare a raccontarvi, seguendo la nostra personale ricostruzione, certo, ma soprattutto quel "pensiero di una comunità in cui tutti sono fondamentali e nessuno indispensabile", tanto per citare il Sindaco di Firenze. E senza fare battute sul catering, sui bagni, sulla vespa, sul microfono e sui venditori di magliette (tanto immaginiamo che lo vedrete a Le Iene).
C'è il popolo di Firenze, prima di tutto. Non quelli incazzati e delusi dal Sindaco assenteista che riempiono le cronache dei giornali (sempre ammesso che…). Ma quelli orgogliosi di un Sindaco assurto ad indiscusso protagonista nazionale, che sta per prendersi in mano il primo partito italiano, erede (a ragione o a torto) di una tradizione che è la storia di questa terra. E non è poco.
Poi ci sono quelli che non sono di sinistra. Tanti, per nulla imbarazzati, per nulla impressionati da questa presunta contraddizione. E ci sono anche quelli di sinistra e tanti che non si pongono proprio il problema. Del resto, dal palco si sente: "Più che delle bandiere di partito che mancano, io mi preoccuperei delle croci sul simbolo del Pd sulle schede elettorali". E, qui almeno, nessuno lo nega.
Ci sono i renziani della prima ora, col sorriso di chi sa di averci visto giusto e con la nemmeno tanto nascosta preoccupazione di essere "scavalcati" dalle nuove leve renziane. Tra le quali c'è un po' di tutto: ex bersaniani delusi dalle larghe intese, ex bersaniani alla disperata ricerca di qualcuno che porti il partito fuori dal pantano ed ex bersaniani che proprio non ce la fanno a rifiutare il ruolo di comparse. Poi ci sono quelli che erano stati sul punto di votare Renzi alle scorse primarie ma non l'hanno fatto perché:
- tanto si sapeva già che Bersani avrebbe vinto
- c'erano troppi finanzieri e imprenditori con il rottamatore
- il concetto di rottamazione era così volgare
- avrebbe messo a rischio l'alleanza con Vendola
- contava solo la maglia
- era impossibile che Bersani non vincesse le elezioni
Stavolta ci sono i politici. Che per la verità c'erano anche nelle edizioni precedenti e avevano tutto sommato lo stesso spazio. Solo che fa notizia dire che nel 2013 c'erano e quindi lo diciamo. Ma la vera notizia (vabbeh, insomma) è che non passano in sala stampa e rilasciano solo qualche breve dichiarazione. Del resto, sussurra qualcuno dell'organizzazione, a Matteo non piace chi vive di luce riflessa (e quindi…). Invece la presenza di Epifani è fondamentale per la costruzione del post rottamazione (e Renzi non risparmia una stoccata a "quelli che prepararono la controprogrammazione invece di venire alla Leopolda"). Così come l'intervento dal palco dell'ex segretario Cgil ne dimostra la maturazione politica ("Non parlo delle miserie della politica presente") e la capacità di adattarsi al nuovo ruolo di reggente. E pazienza se gli tocca di sedersi accanto a Fassino, uno dei convertiti al verbo renziano (e uno dei più applauditi quando prova a parlare di "sinistra" dal palco").
Ah, però c'è Franceschini. Che arriva la domenica prima di mezzogiorno, ma non parla né con i giornalisti né dal palco e non partecipa ai lavori. La domanda lecita è: "Che sei venuto a fare?" Ad ascoltare Renzi, la risposta. Beh, bastava lo streaming e risparmiavamo pure di auto blu. Il ministro Delrio invece sembra di un altro pianeta, almeno oggi. Perché dalla sua ha la coerenza dell'esserci sempre stato e la pazienza di ascoltare e confrontarsi con la platea. E molti applausi in più. Segno che questi della Leopolda hanno memoria.
Il primo giorno è invece quello dei tavoli. Cento gruppi di discussione, moderati da parlamentari, Sindaci, politici, ma anche attivisti, giornalisti, semplici cittadini, studenti, mamme. Discussioni, anche concitate, che regalano un'immagine viva, lontana quella stantia della politica tradizionale e allo stesso tempo vicina a quella che si respirava nelle sezioni. E con una strizzata d'occhio al modello della democrazia deliberativa di Fabrizio Barca (hai visto mai che…). Certo, la cornice è molto, molto, molto particolare: con una sensazione da discussioni post – matrimonio e qualche sbadiglio di troppo a tavoli tematici un po' meno "attuali". Ma una cosa del genere non si vedeva da tempo, così tante energie in una struttura complessa e agile allo stesso tempo: tutto al servizio della narrazione renziana. Che si sostanzia in una sorta di delega: a voi la discussione sui contenuti, a me il compito di comunicarlo. E pazienza se non è proprio così.
Però girando per i tavoli si sentono cose interessanti. Forse il meglio della Leopolda (anche perché poi i relatori del sabato non sempre raccontano di cosa hanno discusso, anzi, molto di rado). Si sente ad esempio qualche parola sul tema dei diritti civili, con Anna Paola Concia che (pure se da ex bersaniana) catalizza l'attenzione quando spiega come "non dovrebbe essere un sogno quello di potersi sposare nel proprio Paese", ma anche quando parla dell'uso strumentale che spesso si tende a fare del tema. Si sente Emanuele Fiano parlare bene (benissimo) della nuova legge sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e riscuotere solo approvazione al tavolo. Anche se poi con noi la discussione è quasi surreale:
- "Volevamo il tetto a 100mila euro"
- "No onorevole, avete votato contro l'emendamento di Sel"
- "Sì, ma c'era stata una trattativa col Pdl"
- "Ah sì? E in che misura?"
- "O trecentomila euro o nessun limite"
- "Beh, non mi pare il massimo del risultato".
- "Comunque abbiamo ottenuto 9 milioni per la cassa integrazione dei dipendenti dei partiti"
- "Però fra tre anni saranno in mezzo ad una strada e con poche possibilità di ricollocamento"
- "E vabbeh, ma sai quanti metalmeccanici sono in cassa integrazione?"
Ad interromperci ci pensa il "Ti porto via con me" di Jovanotti, sparato a volume folle ad ogni clip diffusa dai maxischermi della Leopolda (dopo 3 giorni vi assicuriamo che odierete qualunque altra canzone del Cherubini). Così ci concentriamo sullo staff, che chiude ogni falla e corregge ogni minima imperfezione: insomma, non c'è davvero nulla fuori posto alla Leopolda. Solo un minimo accenno di contestazione nel giorno del discorso di Renzi e qualche provocatore isolato, per la verità tra l'indifferenza generale. Anche perché poi la comunicazione qui è tutto o quasi. E Renzi ne dà una testimonianza palese quando puntualizza un concetto espresso dal professor D'Alimonte sulla "tentazione del proporzionale" che accomuna parte del Pd e del Pdl: "La voglia di proporzionale gliela facciamo passare noi!". Pochi minuti dopo lo stesso concetto sarà ripreso così da Vendola: "La legge elettorale non può essere portata in sartoria come la tunica di arlecchino in un rattoppo di un'altra carnevalata del potere". Beh, chiaro, no?
Ci sono poi le star della manifestazione. Davide Serra, che si incazza solo quando gli chiediamo di come concilia il "taglio della spesa pubblica" (concetto che ripete all'infinito) con il sostegno a quelle fasce sociali che già stanno pagando un peso altissimo alla crisi: ma qualcuno deve pur pagare, insomma. C'è Oscar Farinetti, fra gli ultimi a parlare e fra i primi a sostenere Matteo. C'è Gori, meno sotto i riflettori ma, giurano, sempre il più ascoltato fra i consiglieri. C'è Baricco, cui non riesce l'exploit della scorsa edizione. C'è Pif, che appassiona tutti e che riesce a dare un nome e cognome (anzi due) alle perplessità dei nuovi democratici: Vladimiro Crisafulli e Rosy Bindi.
Poi, anzi soprattutto, sopra tutto e nonostante tutto, c'è Matteo Renzi, che sarà con buona probabilità il segretario del Pd dopo le primarie dell'otto dicembre. Ecco questa è casa sua, lo sapevamo prima e lo sappiamo a maggior ragione dopo i 3 giorni di Firenze. Perché la Leopolda lo rappresenta in tutto e per tutto. Un ambiente innovativo, leggero e che non si prende troppo sul serio; abbondanti concessioni al populismo e al "nuovismo"; maniacale attenzione alla forma e alla comunicazione; nessuna concessione alla complessità della politica, cui preferisce la leggerezza della battuta, dello slogan; redistribuzione della responsabilità della "costruzione programmatica", che è un modo per coinvolgere (anche fisicamente, visivamente) gli altri nella fase costruens e allo stesso tempo per tenersi libere le mani ed impostare il proprio discorso in maniera più snella e più incisiva. E via discorrendo, non tacendo di quella che è la grande incognita – Renzi: la commistione fra una particolare declinazione del post ideologismo e la semplificazione del concetto stesso di azione politica (ovviamente la questione andrebbe approfondita, ne siamo consapevoli). Per Renzi le coordinate sono immediate: andare oltre distinzioni datate e farlo nella maniera più semplice possibile. Con banalizzazioni e forzature, certo. Ma anche con una forza comunicativa che nel Pd non ha eguali. E, per ora, la distanza è tutta qui.
Ps: Quello che non c'era alla Leopolda è sostanzialmente riconducibile a tre filoni: Berlusconi, Letta e Pd (e magari sarebbe sensato chiedersi come non mostrare nemmeno visivamente il partito che si aspira a guidare; sarebbe come allenare la Fiorentina e girare con la sciarpa della Roma: si può, per carità, però…) . Ma anche questa è un'altra storia.