Provenzano a Fanpage: “Gaza è l’Apocalisse, serve missione di pace. Meloni lo dica al suo amico Netanyahu”
Giuseppe Provenzano, ex ministro e oggi responsabile Esteri per il Partito democratico, è appena tornato da un missione in Medio Oriente, con una delegazione del Partito socialista europeo. "È stata una missione molto dura e impegnativa", dice il deputato in un'intervista con Fanpage.it, raccontando di aver incontrato il presidente israeliano e il primo ministro palestinese, così come i familiari degli ostaggi che si trovano ancora a Gaza e molti cittadini palestinesi "che ogni giorno subiscono un'occupazione sempre più dura".
Siete stati anche nei Kibbutz colpiti lo scorso 7 ottobre?
Abbiamo visitato il Kibbutz di Be'eri, a tre chilometri dalla Striscia di Gaza, dove si è consumato l'orrore del 7 ottobre e dove è installato l'esercito israeliano con l'artiglieria pesante che bombarda Gaza. Il sentimento che ciascuno di noi provava era quello di una scissione nel dolore per quello che è avvenuto il 7 ottobre e per quello che sta avvenendo a Gaza. Per i bambini ammazzati quel giorno e per quelli che muoiono sotto le bombe israeliane. Non c'è alcun motivo per non essere solidali con tutte le vittime: anche per questa ragione, dopo questa visita, abbiamo chiesto con forza in Parlamento che l'Italia sostenga l'immediato cessate il fuoco umanitario. Per fermare questa catastrofe, ma anche la spirale di odio, di violenza e di terrore che ne seguirà.
C'è la sensazione che stiamo tutti guardando la catastrofe umanitaria mentre questa accade sotto i nostri occhi e che l'Unione europea e le Nazioni Unite la condannino a parole, ma senza che queste posizioni abbiano un vero impatto su quanto sta succedendo..
Da un lato c'è la collera di Israele. Dall'altro la disperazione dei palestinesi che vivono questa guerra non come una guerra Hamas, ma come una guerra all'intera Palestina. Del resto c'è anche un inasprimento dell'occupazione in Cisgiordania e delle violenze dei coloni, che non possono rimanere impunite. Anche perché l'allargamento degli insediamenti illegali e le violenze dei coloni sono esattamente ciò che allontana la prospettiva di una soluzione politica. Cioè la prospettiva dei due popoli e due Stati.
Ho chiesto al governo se in coscienza possiamo dire di stare facendo tutto quello che è nostro dovere – e tutto quello che è in nostro potere – per fermare questo massacro. Non è così e il governo italiano ha una doppia responsabilità. La prima è legata al fatto che Giorgia Meloni, con la sua forza politica, ha sempre sostenuto di essere tra i migliori amici di Benjamin Netanyahu e della destra israeliana. Ecco, se è così, gli amici hanno il dovere di parlare in maniera molto chiara: questo governo israeliano e l'estrema destra che ne fa parte – fatta di fanatici religiosi, di ultranazionalisti, di suprematisti ebraici – sta allontanando ogni prospettiva di pace.
E poi, è stato un errore non sostenere alle Nazioni Unite la prima risoluzione sulla tregua. Oggi bisogna mettere in campo tutte le iniziative possibili per un cessate il fuoco: io credo serva anche una missione di pace e in questo senso c'è una responsabilità legata al ruolo che può giocare l'Italia. Il nostro Paese, per la sua tradizione diplomatica, deve farsi promotore di un'azione – in Europa e nella comunità internazionale – affinché a Gaza vada una missione di pace, una forza di interposizione che garantisca la tregua per la liberazione degli ostaggi, per la protezione di tutti i civili, per l'ingresso degli aiuti umanitari che in questo momento sono del tutto insufficienti a fronteggiare la catastrofe. Anzi, l'Apocalisse.
Su Giorgia Meloni nei giorni scorsi Lei ha dichiarato che "è sparita"…
Fin dal primo giorno noi abbiamo offerto al governo una disponibilità a collaborare. Io ho persino pubblicamente apprezzato alcune dichiarazioni di Crosetto e di Meloni quando, per esempio parlava di soluzione politica dei due popoli due Stati. Ma nel frattempo cosa è successo? Nulla, lei è sparita su questo tema. A Netanyahu, al suo amico Bibi, che cosa sta dicendo Giorgia Meloni?
La solidarietà a Israele per il 7 ottobre l'abbiamo espressa tutti, ma le vittime palestinesi non valgono di meno. C'è bisogno di un'azione, ma l'Italia invece in questo momento non c'è. Ma la destabilizzazione del Mediterraneo riguarda noi, la frontiera meridionale dell'Europa. È interesse nazionale, come direbbe questa destra, oltre che una grande questione su cui si misurano le sorti del mondo.
Parlando di Mediterraneo, legata al Medio Oriente c'è anche la questione dell'aumento dei flussi migratori verso l'Europa: potrebbe essere strumentalizzata dalla politica per introdurre politiche più restrittive?
Queste persone vanno salvate. Tanto a Gaza, come in mare. In realtà i pochi che riescono a uscire dalla Palestina – teniamo conto che Gaza, ma anche la Cisgiordania, al momento è una prigione – prendono più che altro la rotta orientale del Mediterraneo, non quella centrale. Ma nel Mediterraneo c'è il fallimento dell'approccio del governo, a cominciare da quell'accordo sciagurato con la Tunisia. Le contraddizioni nell'approccio del governo alla politica estera, interamente piegato a una presunta emergenza migratoria, in realtà non solo indeboliscono la posizione dell'Italia, ma poi sono del tutto inutili.
La posizione del Pd sul conflitto riunisce sensibilità anche diverse che ci sono all'interno del partito. Ci sono state ad esempio anche polemiche per la partecipazione alla manifestazione pro-Israele…
Quella era una manifestazione contro l'antisemitismo: io penso che combattere l'antisemitismo sia un dovere dell'Europa e di tutti noi europei che abbiamo riscritto la nostra storia dopo l'abisso del nazifascismo. La presenza in quella piazza di Elly Schlein aveva questo significato, anche per rifiutare la logica dello scontro di civiltà a cui una certa destra – a cominciare da Matteo Salvini – vorrebbe invece portare. La lotta all'antisemitismo è nel nostro DNA, non certo in quello degli eredi di Almirante.
Il Partito democratico ha espresso una posizione molto chiara all'indomani del 7 ottobre: abbiamo condannato in maniera ferma e inequivocabile l'attentato terroristico di Hamas. Anzi, io dico di più: il momento in cui Hamas ha rivelato al mondo, qualora ce ne fossero ancora dubbi, la sua natura di organizzazione terroristica, allora il compito di combatterla non può essere delegato solo ad Israele (di cui contestiamo le modalità con cui lo sta facendo a Gaza), ma è un compito della comunità internazionale. Una ragione in più per rilanciare la proposta di una missione di pace di una forza multinazionale, con il protagonismo dei Paesi arabi, che si faccia carico anche del destino della Palestina.
Se siamo per la soluzione dei due popoli e due Stati, dobbiamo dire due cose. Primo, che se l'Autorità nazionale palestinese deve riprendere il controllo pieno di Gaza, non può certo farlo arrivando su dei tank israeliani, perché non avrebbe alcuna legittimità e credibilità agli occhi del popolo palestinese. In secondo luogo dobbiamo ricordarci che al momento uno Stato non c'è, quello palestinese. È giunto il momento di un'azione politica italiana a livello europeo per il riconoscimento dello Stato di Palestina, anche come spinta per la ripresa del processo di pace sulla vicenda del Medio Oriente.
Su questo si gioca il futuro del mondo. Se l'Ucraina aveva già allargato la divisione tra Occidente e resto del globo, un doppio standard da parte nostra e la perdita della credibilità del diritto internazionale rischiano di determinare una frattura definitiva tra l'Occidente e il resto del mondo. E questo non solo sarebbe sbagliato, ma credo che nemmeno ci convenga.