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Processo Stato – Mafia, Napolitano deporrà come testimone

Il Capo dello Stato sara chiamato a deporre nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia: dovrà riferire sulla lettera inviata dal suo consigliere Loris D’Ambrosio.
A cura di Davide Falcioni
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AGGIORNAMENTO: Il Presidente della Repubblica ha commentato l'ordinanza emessa dalla Corte d'Assise di Palermo nell'ambito del processo sulla trattativa Stato-Mafia: "Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza – secondo modalità da definire – sulle circostanze oggetto del capitolo di prova ammesso".

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano testimonierà nel processo sulla trattativa Stato-Mafia. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto. La richiesta era stata avanzata dall'accusa e la decisione era stata già presa da tempo dal collegio tanto che, il 31 ottobre del 2013, il Capo dello Stato aveva indirizzato una missiva alla corte: nella lettera Napolitano ribadiva la sua disponibilità a offrire la sua testimonianza a Palermo, spiegando tuttavia di non avere nulla da dire in merito ai temi del processo. In seguito a quella lettera, l'Avvocatura dello Stato e i legali dell'ex senatore Marcello Dell'Utri avevano chiesto ai giudici di revocare la testimonianza del presidente della Repubblica. Oggi, la corte ha preso la decisione definitiva.

In particolare i pm Di Matteo, Del Bene e Tartaglia vogliono sentire Napolitano sulla lettera che gli venne inviata dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio nel giugno di due anni fa. D'Ambrosio, in seguito alle polemiche sulle telefonate in Quirinale di Mancino, rivendicava la sua correttezza e – in parlando degli anni in cui la trattativa fu "sottoscritta" – esprimeva il "timore di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi, e ciò nel periodo fra il 1989 e il 1993". In quel periodo D'Ambrosio prestava servizio presso l'Alto commissariaro per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia.

Di seguito, ripubblichiamo la lettera di D'Ambrosio che sarà oggetto della testimonianza di Giorgio Napolitano:

"I fatti di questi giorni mi hanno profondamente amareggiato personalmente, ma, in via principale, per la consapevolezza che la loro malevola interpretazione sta cercando di spostare sulla Sua figura e sul Suo altissimo ruolo istituzionale condotte che soltanto a me sono invece riferibili".

"Come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento dei vari procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e 1993, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze".

"Con quelle autorità giudiziarie, mi sono comportato con lo stesso rispetto che, sia in questi anni sia dall'inizio della mia attività professionale, ha ispirato i miei comportamenti con chi è chiamato a esercitare in autonomia e indipendenza le funzioni di magistrato, Qualunque mio collega puo esserne testimone".

"Quel che, con espresso riguardo ai procedimenti sulle stragi, ho invece sempre ritenuto e poi stigmatizzato in qualunque colloquio è che le criticità e i contrasti sullo svolgimento di quei procedimenti non giovano al buon andamento di indagini che imporrebbero, per la loro complessità, delicatezza e portata, strategie unitarie, convergenti e condivise oltre che il ripudio di metodi investigativi non rigorosi o almeno, non sufficientemente rigorosi nella ricerca delle prove e nella loro verifica di affidabilita; oltre che, ancora, l'abiura di approcci disinvolti non di rado più attenti agli effetti mediatici che alla finalità di giustizia".

"Il procuratore generale della Cassazione, il procuratore nazionale antimafia, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Commissione parlamentare antimafia sanno bene che le criticità e i contrasti esistono e sono gravi, ma che a essi non si riesce a porre effettivo rimedio. Mi ha turbato leggere nei resoconti di un'audizione all'Antimafia, le dichiarazioni di chi ammette che della c.d. trattativa Stato-mafia uffici giudiziari danno interpretazioni diversificate e spesso confliggenti, ma che ciò è fisiologicamente irrimediabile come se, fosse la stessa cosa trattare lo stesso soggetto da imputato o da testimone o parte offesa da fonte attendibile o da pericoloso e interessato depistatore".

"A tutto ciò consegue però un effetto perverso. Quello che anche interventi volti a stimolare adeguati coordinamenti finalizzati a raggiungere o consentire univoche verità processuali vengano poi letti come modi obliquamente diretti a favorire l'una o l'altra interpretazione di fatti o situazioni indiziarie o solo sospette su episodi gravissimi della nostra Storia. E, in genere -perchè mediaticamente più conveniente- come un modo per impedire che escano ‘dai cassetti' procedimenti che toccano o lambiscono apparati o rappresentanti istituzionali".

"E' cosi accaduto che qualche politico o qualche giornalista sia arrivato ad accostare o inserire chi, come me, non accetta schemi o teoremi prestabiliti all'interno di quella zona grigia che fa di tutto per impedire che si raggiungano le verità scomode del ‘terzo livello' o, per dirla con altre parole, è partecipe di un ‘patto col diavolo', non sta dalla parte degli italiani onesti ed è disponibile a fare di tutto per ostacolare un pugno di ‘pubblici ministeri solitari che cercano la verita' sul più turpe affare di Stato della seconda Repubblica: le trattative fra uomini delle istituzioni e uomini della mafia".

"Tutto ciò è inaccettabilmente calunnioso, Ma non mi è difficile immaginare che i prossimi tempi vedranno spuntare accuse ancora più aspre che cercheranno di ‘colpire me' per ‘colpire Lei.Non conosco il contenuto delle conversazioni intercettate, ma quel tanto che finora è stato fatto emergere serve a far capire che d'ora in avanti ogni più innocente espressione sarà interpretata con cattiveria e inquietante malvagità. Ne saro ancor più amareggiato e sgomento anche perchè, come ho detto anche quando sono stato sentito a Palermo come persona informata sui fatti del 1992 e 1993, sono il primo a desiderare che sia fatta luce giudiziaria e storica sulle stragi; perchè quei tempi li vissi accanto a Giovanni Falcone poi dedicandomi, assieme a pochi altri, senza sosta a comporre quel sottosistema normativo antimafia che ha minato la forza di Cosa Nostra e di organizzazioni similari".

"Lei sa che di ciò ho scritto anche di recente su richiesta di Maria Falcone. E sa che, in quelle poche pagine, non ho esitato a fare cenno a episodi del periodo 1989- 1993 che mi preoccupano e fanno riflettere; che mi hanno portato a enucleare ipotesi – solo ipotesi- di cui ho detto anche ad altri, quasi preso anche dal vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi".

"Non Le nascondo di aver letto e riletto le audizioni all'Antimafla di protagonisti e comprimari di quel periodo e di aver desiderato di tornare anche io a fare indagini, come mi accadde oltre 30 anni fa dopo la morte di Mario Amato, ucciso dal terroristi.Ecco, che tutti questi sentimenti
siano ignorati per compromettere la mia credibilità e, quel che è peggio, per utilizzare tale compromissione per "volgerla" contro di Lei, non è per me sopportabile. Sono certo che, per come mi ha conosciuto in questi anni e nel dieci anni precedenti, Lei comprende ll mio stato d'animo.
A Lei rimetto perciò, il prestigioso incarico di cui ha voluto onorarmi, dimostrandomi affetto e stima. Con devozione e deferenza, suo Loris D'Ambrosio".

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